Fondaco profilo di Venezia

12. Venezia è nel Nordest?

Una delle questioni sempre presenti, quando si delineano caratteri strutturali e congiunturali di Venezia città e provincia, è quella della diversità dal contesto nordestino: ma Venezia è la capitale del Nordest (e del Veneto)? Assomiglia al modello veneto (o nordestino) o se ne distingue e se ne allontana? E questo modello è una risposta o un'alternativa al modello veneziano, o viceversa? E Venezia dopo aver perso la dominanza sul Veneto e sul Nordest, sta riconquistando le postazioni, avvicinandosi al modello regionale e interregionale o è quest'ultimo che, placata l'ondata euforica, si sta normalizzando?
In questo sito, al Fondaco Profilo della Provincia e Profilo di Venezia, lo "spettro" del Nordest si aggira senza requiem. Del resto il Nordest è stato talmente conclamato e sbandierato come eccellenza (nel bene, soprattutto, e anche nei mali collaterali) che Venezia, con le sue eterne crisi di Dominante indomita, non può sottrarsi ad un incessante confronto: nel male (per aver perso postazioni e non aver dominato il modello) e nel bene (per aver costituito da sempre una anomalia straordinaria in qualunque epoca e contesto).
Nel 1996 i ricercatori cominciano a porsi qualche interrogativo "critico" sul modello Nordestino: il Nordest dopo il successo. Evoluzione di un'economia regionale (Anastasia e Corò, Nuova dimensione 1996). La Fondazione Nordest, a 5 anni di distanza, propone un rapporto che è il terzo della serie in cui i toni riflessivi accompagnano, con grande pacatezza e sapienza, la posizione di limite che la situazione economica e sociale di questa area del Paese ha raggiunto: "come pretendere", scrive Marini, "che l'accelerazione conosciuta dopo il 1993 continuasse a lungo"?
Problemi di manodopera: quantitativi (il calo delle generazioni atte al lavoro), qualitativi (la troppa scolarizzazione in rapporto alle qualifiche richiesta dall'industria), di immigrazione (è noto il gap tra normative nazionali e fabbisogni nordestini). Problemi di territorio: nuovi insediamenti e mobilità sono elementi di collasso degli equilibri, non solo ambientali ma di percezione, fruizione, prestazione.
E mentre Venezia si interroga sul suo ruolo metropolitano il Nordest non può che riflettere sulla nebulosa senza centro che è diventato e riconoscere in Mestre il proprio "valico".
Gli anni della divaricazione sono finiti? È forse matura la stagione in cui funzioni globali vocate dalla Dominante e bisogni del modello Nordestino convergono verso una soluzione sinergica? In economia è lecito l'ottimismo? Ed è proprio vero, come tutti lamentano, che manca una rappresentanza politica adeguata alle performance del Nordest e alla metropolità del capoluogo (sono d'accordo in questo sia Michele Casarin, autore del Doc. COSES n. 424download, che la lamenta per la città Veneziamestrina, sia Daniele Marini per il Nordest, mentre Diamanti suggerisce una lanterna di Diogene per illuminare la ricerca del buon politico).

Di seguito si compie un'operazione "azzardata": si riassumono alcuni passi del libro Nordest 2002 che in qualche misura contestualizzano Venezia, e la sua provincia, nell'ambito interregionale più vasto. Il nostro intendimento, scontando il rischio delle estrapolazioni (di rendere, cioè, assolute asserzioni che nel contesto hanno motivazioni, profondità e sfumature), è di raccordare alcune considerazioni che il COSES conduce sulle realtà di più stretta osservazione (comune e provincia di Venezia) con il contesto veneto e interregionale. Per non esagerare con l'estrapolazione si riportano, ove possibile, citazioni integrali; tuttavia, sono inevitabili congiunzioni e, con esse, interpretazioni forzate rispetto al testo della Fondazione Nordest (ci assumiamo la responsabilità degli errori).

 

Al termine dello scorso decennio il Nordest rappresentava la locomotiva d'Italia. Tuttavia, cominciava a presentare alcuni punti oscuri […] un'area dove il benessere era assai diffuso ma che stava transitando "da fenomeno a normale".
Al 2002 il Nordest continua a offrire risultati positivi, non si parla di recessione né di crisi: ma la macchina è arrivata al massimo dei giri possibili. La popolazione entro il 2021 diminuirà di 800.000 unità (tornando ai livelli del 1961) e questo significa che la manodopera sarà progressivamente calante e ci sarà maggiore "bisogno" di immigrati: un Nordest multietnico.
La disoccupazione a livelli frizionali, più che fisiologici, rende il mercato del lavoro saturo: sono le imprese a doversi flessibilizzare, rovesciando la logica del lavoro flessibile. La nuova nebulosa insediativa (diffusa, marmellata, spalmata) è percorsa da flussi straordinari, locali e transnazionali.
Uno sguardo di lungo periodo all'economia ci mostra che il primato dell'industria, i distretti e la loro internazionalizzazione (leggi: esportazioni) deve essere letto insieme ad una tendenza al terziario, ai servizi (tra 1990 e 2002 crescono del 2,8% contro l'aumento industriale dell'1,9%). E anche l'export sta considerando nuovi mercati: mentre l'area Euro cala del 7% tra 1993 e 2002 quella dell'Est Europa cresce del 5% e il Nordest si allarga fino alla Cina. Elementi di tradizione, pur flessibile e intelligente, si intrecciano con innovazioni "ragionate" e adattate allo stile fai-da-te.
La società, notoriamente più lenta ad evolversi rispetto alle imprese, deve affrontare questioni di mutamento, così importanti da far parlare di nuova identità: immigrati, ovvero nuovi cittadini; giovani più istruiti e meno disponibili ad "un lavoro pur che sia"; famiglie che, venuta meno la forza della tradizione, devono comunque assorbire le principali mediazioni del cambiamento, uno Stato e una politica che non rispondono alla condizione di malessere (opposto al benessere del reddito? Malessere da crescita accelerata? Da perdita di identità? NDR), di mancata rappresentanza, di risposte inadeguate a domande inedite e personalizzate.

Quella che generalmente viene definita come una fase di rarefazione degli eventi demografici ha pienamente coinvolto anche il Nordest (Castiglioni e Dalla Zuanna): i ventenni di oggi sono appena il 70% dei ventenni residenti nel Nordest nel 1971. Basterebbe questa riga, secondo la nota tesi che la demografia spiega due terzi di ogni cosa, per riassumere la rilevanza della questione.
I due autori, però, procedono nell'analisi e sulla base dei dati relativi all'immigrazione, affermano che nel Nordest la forte richiesta di forza lavoro immigrata è destinata inequivocabilmente a permanere. La connessione tra immigrazione, incremento del reddito, diminuzione dei lavoratori giovani e aumento degli anziani è la miscela distintiva.
La figura 2 di pagina 48 del volume Nordest 2002 è lapidaria: si tratta, evidentemente, di una interpretazione del nesso tra "benessere" (espresso, per quante critiche si possano portare a questo indicatore, dal reddito) e immigrazione quindi tra sviluppo e attrattività di un'area in un circolo virtuoso. La posizione della provincia di Venezia ovvero la minor attrazione di lavoratori immigrati e il minor aumento del reddito dopo Belluno (cfr. Rapporto COSES n. 56/2001 e Doc. COSES n. 407/2002) sono un ottimo frame per incorniciare l'area veneziana nel contesto nordestino.
"La nuova legge (Bossi-Fini) è pensata per una società che non c'è": il giudizio degli autori appare trasparente e argomentato.
Il contributo di Lorenzo Bernardi, sull'alta formazione (universitaria e postuniversitaria) può essere utile inquadramento critico alle osservazioni condotte dal COSES sulle Università della "città metropolitana" (Doc. n. 367/2001): il ruolo di Venezia come polo universitario, nel più ampio quadro della città dell'innovazione o dell'immateriale, ha probabilmente bisogno di un ulteriore approfondimento: valutativo e propositivo (anche alla luce dei sommovimenti forti indotti dalla riforma universitaria).
Nel merito dello sviluppo produttivo entrano Anastasia e Corò: confermando sia i caratteri dell'eccezionalità nordestina, fino al 1996 sia la normalizzazione degli ultimi anni Novanta comunque soddisfacente dal momento che, rientrando il differenziale di crescita tra Nordest e Paese, quest'area accumula tuttavia risultati, mantenendo gli indicatori fondamentali, in primis occupazione e disoccupazione, positivi.
Il tasso di crescita medio annuo del 2% non è quello del 1995 (5%) ma va considerato di tutto rispetto per un'area molto sviluppata e densamente abitata. Al 1999 il PIL nordestino è di 44 milioni di lire contro una media italiana di 37,2: siccome la produttività è in media con quella nazionale, si deduce che sia l'elevata partecipazione al mercato del lavoro a spiegare il maggior benessere relativo del Nordest. C'è una partecipazione diffusa alla creazione della ricchezza, affermano gli autori. Se si considerano i settori produttivi, come si è detto i responsabili della crescita economica risultano, sul lungo periodo, i servizi privati mente l'industria ha abbandonato il trend dei primi anni Novanta (simile a quello dei servizi) riducendosi ad un terzo. Il valore aggiunto del Nordest si è terziarizzato: questa affermazione potrebbe stimolare un ragionamento sul riavvicinamento dell'economia regionale veneta a quella del proprio capoluogo, secondo i dati commentati in Zanon, COSES Doc. n. 343/2001. Il Veneto, passata l'effervescenza del proprio modello industriale tende fisiologicamente verso il terziario? La produzione ha bisogno dei servizi? È il benessere dei cittadini a manifestarsi nella effervescenza fuori dal "settore secondario"? E Venezia ha un ruolo in questa nuova evoluzione oppure perderà ulteriormente dominanza e centralità?
Nella regione, viene rilanciato, secondo Anastasia e Corò, un modello labour intensive che trova nei servizi un nuovo epicentro: a causa, proprio, della ricchezza diffusa si esprime una crescente domanda di servizi di cura. Alla precedente struttura familiare si stanno sostituendo servizi di mercato.
Le imprese del Nordest non mantengono gli indici di incremento degli anni Settanta e Ottanta (vedi nel Fondaco provincia di Venezia la perdita di dominanza di Venezia sul Veneto) ma mostrano indici ancora positivi: tra 1995 e 2001 si passa da 446.000 imprese a 483.000 (1,3% annuo rispetto all'1,4% del Nordovest e 1,6% Italia). L'industria manifatturiera si stabilizza attorno alle 92.000 unità:

Le costruzioni crescono superando le 81.000 unità.
Tutto il terziario, tranne il commercio (negli ultimi anni), cresce:

E questo deve far riflettere sulle vocazioni "immateriali e virtuali" del capoluogo.
Infine, gli autori considerano l'export, vero nodo del modello Nordestino.
Anche in questo caso, alle performance di eccellenza fino al 1995 seguono ritmi più normalizzati, ma assolutamente non negativi "a conferma di una notevole capacità di adattamento ai mutamenti dello scenario estero", attraverso "un articolato posizionamento".
È il settore dell'industria meccanica che garantisce l'attuale solidità dell'export nordestino, seguito dal sistema moda (dove però sono elevate anche le importazioni).
Uno dei pochi punti critici, tuttavia, dell'economia nordestina ha a che fare proprio con la internazionalizzazione: sono le partite invisibili (l'import-export di servizi) in particolare servizi alle imprese, brevetti, informatica, assicurazione, logistica e comunicazione in cui il Nordest continua a registrare passivi correnti. Unica voce attiva dei servizi, il turismo (87% della intera voce) ma i due autori segnalano che questa economia, rilevantissima per il nordest (arco alpino, riviera adriatica, garda, terme, città d'arte) appartiene per eccellenza al modello labour intensive, non diversamente dal manifatturiero.
La qualificazione della produzione esistente, anche nel turismo, è una delle vie all'innovazione e anche verso un rendimento crescente nell'uso delle risorse: il modello di sviluppo nordestino, definito estensivo deve affrontare i propri "blocchi evolutivi". Il benessere diffuso rischia di consumare ma di non rigenerare le risorse locali.
Se Venezia piange (un dominio smarrito), il Nordest non ride.

Un'ultima serie di estrapolazioni deriva dal contributo di Domenico Luciani, su insediamento e mobilità. In quella che viene definita qui "nebulosa senza centro" (la provocazione è forte se vista da Venezia che continua a considerarsi capoluogo e città mater), dice Luciani, il nome città ha perduto di senso e neppure città diffusa spiega questa fenomenologia che non è espansione di periferie ma un diverso modo di occupare lo spazio e il tempo, dove macro spostamenti e micro spostamenti si aggrovigliano e ogni funzione può essere posta ovunque. Segni interessanti di riorganizzazione della nebulosa sono individuabili, secondo l'autore, a partire proprio dalla mobilità: metropolitana leggera, tessuto stradale, corridoio ferroviario europeo. Luciani definisce naturale il tracciato est-ovest, parla della Provenza e di Vienna, delle Alpi (secondo Corò l'area europea di maggiore sviluppo e benessere, in L'Italia è Cambiata, Angeli Milano 2000), dell'asse Barcellona-Kiev.
La nebulosa, cui appartiene senza dubbio la città metropolitana e ancor più il Sistema Giornaliero della città Venezia, sembra, nella suggestione di Luciani, aver bisogno di spiegare le ali, piuttosto che di "centrarsi" su un polo: è forse una evocazione della città "stradale" californiana? Un Piccolo Mondo antico (il Veneto) che muore o una Los Angeles che nasce? (Paolini 1999 Bestiario Veneto).
Per chi osserva la città di Venezia, e Mestre in particolare (luogo del confine e del transito) non può non venire in mente la stilizzazione della sua provincia: il gabbiano che punta verso oriente (dopo Kiev la Cina), un'ala che tocca Chioggia (la terza Italia adriatica) e l'altra che tocca il Tagliamento (cioè il Nordest).
Forse l'analisi del fenomeno Nordest ci aiuta a ragionare in termini di territorio (dello sviluppo), piuttosto che di capitale.

Il Terziario fa centro

navilio attraccato

 

Le note presentate sono, liberamente, tratte da NORDEST 2002 - Rapporto sulla società e l'economia, a cura di Daniele Marini, Fondazione Nordest 2002.
Il content manager si assume ogni responsabilità delle estrapolazioni e delle interpretazioni.
Vedere anche "Studi in corso - Chercher la femme".

 

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