Questa città è un albergo

Il disegno di legge regionale sul Turismo

di Isabella Scaramuzzi

La legge dopo i fatti

Le leggi arrivano sempre in ritardo: cercano di mettere indirizzi e regole in materie complesse, fortemente interessate da cambiamenti. Una legge (quadro) sul sistema turistico, in una regione che ha nell'industria ospitale la propria principale economia e la ritiene strategica, non sfugge a questo ritardo. Perciò, le focose diatribe riportate sui media nella primavera 2008, in relazione alle tipologie ricettive che la Regione propone per la propria Capitale, in un DDL approvato dalla Giunta a fine maggio, riguardano una realtà concreta, mutazioni già avvenute, pressioni palesate da anni - almeno dal Giubileo del 2000 - e documentate da molti studi: sia nelle dimensioni (una per tutte: in 7 anni gli esercizi extralberghieri in città antica sono decuplicati), sia negli effetti.
Quindi, discutiamone con calma.
E' già successo, anche, che la diffusione notevolissima di affittacamere e B&B (fenomeno globale, che non poteva lasciare immune il cuore del cuore del turismo mondiale), sia stata addebitata ad una legge regionale (la quarantanove), in combinato disposto con le modifiche degli strumenti urbanistici comunali (sui cambi di destinazione d'uso) avvenute in fin de siecle: è già successo che il rimpallo di accuse tra Regione e Comune sia stato una gran lavatura di mani a cose fatte, come se le regole (sempre in ritardo) fossero la causa e non l'effetto di prepotenti pressioni e convenienze economiche. In mancanza di capacità alternative, ricercate o meno.


Immobiliare e turismo

Che la città antica di Venezia campi, da secoli, sul proprio patrimonio immobiliare e sui mille impieghi che lo rendono molto capace di produrre rendite e redditi, ci sono fiumi di documentazione e di prove. Non meniamo scandalo, credo, dicendo che le leggi speciali, per la salvaguardia fisica e sociale di un bene di preminente interesse nazionale (e internazionale), sono state in concreto un enorme investimento sul patrimonio: a prescindere dalle destinazioni d'uso (monumentali, civili, alberghiere, abitative, terziarie, culturali). Che il patrimonio edilizio, componente strutturale del patrimonio ereditato dal passato (il cosiddetto built heritage), sia l'economia capace di federare a livello planetario il futuro, l'ha spiegato il sociologo Mc Cannel nel 1976 e che questo passi attraverso la domanda di turismo d'arte l'hanno capito tutti gli economisti, sia teorici che praticanti.


ALLA FINE DELLA FIERA

All'Expo dell'immobiliare di Milano, EIRE (22-25 maggio 2007), lo stand Venezia non si presenta con campielli e costumi goldoniani. Non siamo qui per vendere i gloriosi stereotipi del passato ma una Venezia futura: Marghera, Tessera, Vega, Mestre. Ci proviamo, ad essere coerenti e coesi: Città, Camera di Commercio, promotori e operatori, perché Venezia non sia soltanto grande museo all'aperto, morsa e abbandonata. Qualche stand più in là, un imprenditore veneto che ha per slogan "dal 1930 uomini che lavorano" propone l'area di Veneto City: si sa che le fiere sono la quintessenza del libero mercato e vincerà il miglior offerente. Intanto, nella sala blu, ha corso un Convegno sulla competitività del turismo italiano in rapporto agli investimenti immobiliari. Jones Lang LaSalle, colosso del real estate globale, mostra dati secondo i quali le transazioni nell'hotellerie europea sono state, tra 2005 e 2006, a livelli record: Venezia è in coda alle città metropolitane, con i casi di S.Clemente, Europa&Regina, Danieli. Imminenti le transazioni degli Starwood del Lido. Hyatt Hotel spiega che in Italia è quasi impossibile investire in management alberghiero: vi è una forbice troppo aperta tra redditi delle imprese ricettive, che rendono il mercato opaco agli investitori. Il primo albergo di Venezia rende oltre il doppio del secondo: c'è poca norma nelle performance, poca stabilità. Una Hotel, giovane catena italiana, dice che la gestione manageriale ha difficoltà ad entrare in un mercato profondamente domestico, dove questo aggettivo invece che esaltare un Italian style d'accoglienza, significa sottocapitalizzazione, sottodimensione e familismo industriale. Viene mostrato uno spot di Una il cui slogan è "immobile significa business che si muove": oggi il patrimonio ricettivo italiano è obsoleto al 50%, richiede uno straordinario movimento economico per rinnovarsi. Il TCI riferisce di una recente graduatoria del World Economic Forum, in cui l'Italia è trentatreesima su 124 paesi: Francia, Spagna, Germania, Austria nei primi 15 posti. Competiamo egregiamente per gastronomia, simpatia e arte ma perdiamo quanto a politiche industriali e quanto a norme ed azioni concrete che sostengano il settore. La Banca Aareal palesa gli interessi pressanti del capitale cinese, rispetto alla ricettività del Bel Paese: sono interessati a partire da 400 unità, camere o appartamenti, nuovi o usati: garantendo una saturazione del 100% annuo. Business che si muove con le dimensioni di un esercito. La Venezia nuova che presentiamo all'EIRE non deve dimenticare che larga parte del patrimonio immobiliare vive di turismo e richiede di investire, mantenere, rinnovare avendo con le performance della prima economia cittadina una relazione forse sottovalutata. Hilton ci spiega che immobiliare e gestione ricettiva hanno in comune l'obiettivo del profitto e la frontiera di questa grande catena è conseguire un reddito aziendale che consenta di valorizzare gli immobili. La relazione è decisiva, secondo gli esperti che questo Convegno ha riunito e viene trattata con il linguaggio brusco degli affari. Penso che a Venezia sia indispensabile una riflessione con questo taglio, onde evitare il rischio di una doppia città: quella del turismo lasciata a sé stessa e alla rendita opaca, e quella dell'innovazione, degli investimenti immobiliari puri, senza domandarsi fino in fondo quali attività e imprese li renderanno positivi nel lungo periodo e per l'intera comunità. Non possiamo considerare perduta una parte di città, quella antica e densa, preda di una pandemia turistica incurabile, e lusingarci della città novissima, convinti che finisca ai confini di Dese e Fusina. Alla fine della fiera, business is business, ma che cos'è la politica urbana?
Isabella Scaramuzzi, Maggio 2007


Dunque, perché abbiamo tanto prurito a definire questo fattore, il patrimonio immobiliare, come motore di economia urbana? E nel momento in cui non fingessimo che possa non essere così, perché scandalizzarci che la Regione affronti a muso duro questo aspetto del sistema turistico, nel suo santuario, che è anche la capitale regionale?


Leoni e moeche

Certo, ci sono dei distinguo non tanto sottili sulla sussidiarietà delle norme: la sovranità dei poteri locali a decidere del proprio territorio e dei propri valori.
Tuttavia l'industria turistica è sicura competenza della Regione e il confine tra esercizio delle funzioni attribuite ed entrata a gamba tesa nei confronti della autonomia locale del Capoluogo riguarda provocazioni e sfide di schieramenti, più che la specifica materia. Che la Regione stia accerchiando il Comune, come le chele di una moeca, da Marghera a Tessera (anche queste patrimoni immobiliari sub specie economica), è evidente: forse con il tema turistico prova a mettere mano sulla pancia molle del granchio, la polpa della prima economia urbana: patrimonio immobiliare e ospitalità.


Un progetto di economia urbana

Accettata questa sfida, bisogna pretendere di discutere nel merito del tema: quale economia urbana è possibile, oggi e nel futuro prevedibile, per quella parte di metropoli che è la città Antica.
Quando dico economia urbana intendo anche abitanti, anche operatori e lavoratori, anche popolazioni temporanee non anagraficamente residenti, anche consumatori. Ovvero il compendio di domanda urbana che fa battere il cuore del cuore di una grande città, a fronte di un compendio di offerta urbana che chiamiamo economia, anche se riguarda bisogni sociali come la casa e i servizi ai cittadini, anche se è costituita da investimento o spesa pubblica (ad esempio gli immobili del Comune locati ad attività primarie o i musei civici o il vaporino numero tre).
Perché se continuiamo a liquidare ciò che genera economia come speculativo, e ciò che attiene alle casse pubbliche come economicamente separato dai suoi effetti sul mercato, l'evoluzione urbana la lasceremo sempre gestire alla parte più aggressiva o banalizzata degli imprenditori o dai rentiers, simulando grandi tenzoni nella stalla vuota di buoi.
In sostanza, la Regione dovrebbe essere meno leonina e chiamare il Comune di Venezia (prima di decidere, non dopo): unico Ente Locale veneto per il quale assume anche i poteri locali (per esempio il cambio di destinazioni d'uso urbanistiche, che spetterebbe ai PAT).
Deve concertare con Venezia le strategie per la principale economia urbana.
Il Comune, invece, deve superare la sindrome da trincea, in difesa della lesa sussidiarietà, e aggredire con un progetto inerente il patrimonio immobiliare (inclusa la componente creditizia e fiscale), nelle sue potenzialità complesse di economia urbana. Un progetto per il cuore del cuore del sistema.


C'era una volta l'albergo

Dedicarsi alla contestazione e correzione di singole parti del DDL, formalizzato dalla Giunta, è un esercizio doveroso e utile: lo stanno facendo gli addetti ai lavori (i tecnici del Comune e il COSES), e lo propongono alcuni movimenti come i 40X Venezia.
In questa sede proviamo ad avviare una riflessione che collochi l'episodio del DDL nel quadro sostanziale del turismo e delle capitali di domani.
Usando questi occhiali, cogliamo un atteggiamento realistico nel DDL che, in materia squisitamente turistica, e per tutta la regione, condividiamo: l'apertura ad una mutazione tipologica dell'industria ricettiva, già manifesta e destinata a non fermarsi. Quella che, ancora per tutti gli anni Novanta del XX Secolo, abbiamo chiamato ricettività extralberghiera (superando la definizione di complementare con cui era nata negli anni Sessanta, pensando prevalentemente al campeggio), si è presa la scena, per varie ragioni intricate tra loro:


Per i dati, rimandiamo ad altri interventi sul nostro sito e su quello del Ciset.
L'interesse e la convenienza ad operare (investire, lavorare, guadagnare) nel ricettivo, si è spostata dalla forma albergo a forme molteplici, aperte e per loro definizione sperimentali ed evolutive. A sua volta l'albergo non ha potuto restare immutato.
Di questo il DDL si occupa.
Una lettura, neutrale e completa, delle tipologie introdotte (o per tipo o per denominazione) mostra che la Regione parla di questo: delle nuove forme di economica ricettiva. E' giusto che sia così, doveroso (e tardivo).
Un dubbio: è utile normare con tanta (affannata) pignoleria un sistema che si evolve freneticamente e che si complicherà sempre di più, in ragione dei quattro fattori che lo hanno determinato? A cosa ci serve? Fermare, ingabbiare, controllare o migliorare le prestazioni (dare le stelle agli appartamenti, secondo i titoli dei giornali)? Ci serve a preferire una o l'altra soluzione? Spetta al soggetto pubblico? Non posso che proporre la similitudine con i format commerciali: abbiamo normato per decenni centri e parchi commerciali e poi è arrivata la bomba outlet e siamo qui a rincorrere i buoi.
Non sarebbe più moderno fare tanti passi indietro sul rapporto tra offerta e domanda e limitarsi a disincentivare o promuovere 3 elementi che riteniamo strategici, invece che pretendere (fingere) di tenerne sotto controllo 1.654 (il numero degli esercizi ricettivi della Città Antica)? Che differenza può mai fare se un hotel si denomina centro fitness o congressuale? E quale distinzione normativa passa tra una villa veneta, una residenza d'epoca e una dimora veneziana ospitale destinate alla ricettività?
Anche a risolvere questo dubbio servirebbe la concertazione e il dialogo tra comuni turistici (non solo Venezia) e la madre Regione.


Immobile dinamico

Restiamo al merito delle tipologie e del loro rapporto col patrimonio edilizio: tema che riteniamo strategico per l'economia dei luoghi turistici. Per tre decenni mi sono occupata della invenzione delle destinazioni: non c'è caso e non c'è storia che non mostri come l'investimento immobiliare sia il genio dello sviluppo, dalle lottizzazioni di cottages, ai grand hotel, ai villaggi turistici, ai marinas, al recupero dei villaggi dismessi da economie obsolete (agricole, pescherecce, manifatturiere).
Restiamo alla nostra Città Antica, oggetto come sempre di furiose polemiche.
Nel 2004 uno Studio per AVA dimostrava, sulla base dei conti economici, che nella produzione alberghiera, oltre un terzo dei costi (depurati dal costo primario che sono i redditi da lavoro) riguardava l'immobile: come si dice in gergo la casa. Gli alberghi, in altri termini, manutengono il loro patrimonio che è anche il patrimonio urbano caratteristico. Se pensiamo ai costi di manutenzione di questo patrimonio, larghissimamente sostenuto da denaro pubblico nazionale, sia quando è monumentale (attrattore di ospiti ma anche contenitore di servizi pubblici locali), sia quando è destinato a residenza primaria (i contributi legge speciale), mettere nel conto il contributo alberghiero è corretto.

Spazi sottratti o recuperati?

L'obiezione, tuttavia, riguarda il peso relativo che la destinazione ospitale sta guadagnando rispetto alle altre funzioni cittadine: qui va fatta una distinzione chiara tra immobili sottratti ad usi collettivi (in particolare amministrativi e di rappresentanza) o ad attività produttive (nel settore della produzione culturale) e immobili effettivamente sottratti alla funzione abitativa primaria. Le tipologie messe all'indice sono quelle di area malva: minute e familiari, camere in affitto o appartamenti locati non professionalmente, pronti ad evolvere in piccole imprese, dependances o affiliazioni. Tipologie insinuanti, che erodono vani e unità immobiliari mai utilizzate o dismesse dai residenti: a seguito di eredità frazionate, di contrazione dei nuclei, di recupero del vuoto. Secondo dati del Comune, del 2007, sono 1.064 gli appartamenti utilizzati per attività ricettive extralberghiere in Città Antica. Sono davvero sottratte, o è una definizione virtuale (erano, cioè inutilizzate)?
Il peso del ricettivo totale (hotellerie + extra), stimato con varie metodologie, sul patrimonio complessivo della città antica varia da un massimo dell'area Marciana ad un minimo della Giudecca: a seconda degli universi considerati occupa tra il 10 e il 3%.
E' davvero esagerato che un polo turistico mondiale abbia tra un decimo e meno di un trentesimo del proprio patrimonio destinato alla prima economia urbana?
Poiché tutto è relativo, se pesiamo il ruolo delle altre attività caratteristiche urbane - il commercio e la ristorazione- vediamo che la pervasività è molto maggiore da parte di queste due funzioni, che si rivolgono certamente al turista visitatore ma anche alle altre popolazioni squisitamente urbane della Città Antica: i lavoratori pendolari, gli studenti fuori sede, i metropolitani che nell'ultimo lustro sono tornati ad includere la Venezia pesce nella mappa delle loro happy hours and nights.
E qui torniamo a sottolineare gli effetti generazionali di cui sopra: l'entrata sulla scena imprenditoriale e lavorativa dei trenta-quarantenni - ma al contempo su quella del consumo di tempo libero - indipendentemente dal loro risiedere anagraficamente nei sestieri, ha determinato (a partire da metà degli anni Novanta) un deciso rilancio delle attività leisure, soprattutto di ristoro ma anche ricettive, con modelli adeguati ai nuovi target di domanda. Non si tratta solo di affaristi dell'hotellerie mondiale, ma anche di microimpresa locale e metropolitana: non è stato detto ai giovani di inventarsi un mestiere?
Nel 2001, lo studio sui piani terra metteva in evidenza una quota di magazzini e pertinenze (quasi il 30% del totale) che costituiscono una ghiotta riserva per future attività commerciali e di ristorazione (alla data il 13% risultava destinato a tali usi contro un 1% di ricettivo). Stante il problema delle acque alte questo patrimonio è inappetibile per la residenza (che pure ne occupava quasi metà).
Se il B&B fosse davvero quello che deve essere, con l'obbligo della residenza e della conduzione familiare, potrebbe essere una chance per attrarre nuovi abitanti.


Non volevamo che dormissero?

Complessivamente i posti letto in città antica sono cresciuti, dopo il Giubileo, di quasi 10.000 unità: volendo parafrasare il DDL diciamo che l'albergo si è diffuso (la legge arriva dopo, per regolarizzare). E' doveroso ricordare che per 30 anni le indicazioni di politica turistica chiedevano esattamente questo: che fosse ampliata la capacità di accoglienza del turista pernottante, al fine di erodere i picchi di escursionisti impropri, costretti a dormire nella regione turistica per la saturazione del pivot o per prezzi troppo alti.
Può darsi che allora non si fossero valutati tutti gli effetti di questa indicazione, né di quella collaterale che indicava in un allungamento della permanenza media del visitatore la base per una fruizione meno mordi-e-fuggi, che si rivolgesse all'infinito patrimonio artistico, diffondendo i benefici oltre l'area marciana. Si indicavano con forza interventi che offrissero all'ospite maggiori occasioni di fruizione della città, più tempo e più spesa. I nuovi posti letto, soprattutto quelli incriminati come appartamenti e B&B, hanno risposto in parte a questi orientamenti, collocandosi in una fascia di prezzo e di clientela che pratica lo slow tourism, cerca modalità di soggiorno, itinerari, stagioni, eventi ed esperienze meno banali. Bisogna decidere se il "cattivo turismo" è quello di passo (e povero in ogni senso) o anche quello che abita due giorni, cercando per quanto possibile una relazione meno superficiale con il luogo, probabilmente tornandovi diverse volte, nella vita.
Un'ultima riflessione, sui pesi relativi. Nel 1996 sono stati stimati i fatturati di due grandi industrie cittadine: l'industria pesante dei portuali e quella altrettanto pesante dell'ospitalità. Erano quasi pari, tra indotto e indiretto: 1.600-1.700 miliardi di lire (Ciset, n.19 Giugno 1998).
Da lungo tempo, a parte il sistema culturale (stessa epoca, cfr. Laboratorio Venezia e COSES 2003), manca una valutazione della terza componente cittadina: la Pubblica Amministrazione. L'ultima volta che il COSES ha guardato dentro il cosiddetto Settore Pubblico Allargato, nel 1979, pesava ovviamente molto (cfr. Bruzzo e Miatto, 1979, Rapporto Co.S.E.S. 43/3. Tanto da far sostenere a qualche accademico che Venezia, tra trasferimenti pubblici e leggi speciali, era la città più meridionale (cioè manutenuta da pubblico denaro) del Paese. Annotiamo che se le grandi opere pubbliche ricadessero in questa componente, il suo peso sarebbe schiacciante. Anche qui le stime che abbiamo al COSES sono interessanti: Di Monte stima in circa 2.000 milioni di euro l'apporto della legge speciale dal 1984 al 2006. Quanti spazi occupano queste funzioni: più o meno dell'albergheria, variamente denominata? E quanto contribuiscono a mantenere la città? E quanti spazi sottraggono o potrebbero offrire alla residenza primaria?


Distribuzione degli esercizi ricettivi nel centro storico di Venezia


Fonte: Elaborazione COSES su dati Comune di Venezia e Apt 2007


Il residente ideale

Questa città non è un albergo! Slogan suggestivo dei residenti resistenti.
Ma. Non è un po' come dire che Roma non è un Ministero, Milano non è una Fiera, Urbino non è una Università, Torino non è (stata) una fabbrica di automobili? Chi negherebbe l'esistenza del proprio distretto economico?
E, soprattutto, che cosa pretendiamo che sia, la parte di città che attrae i turisti e che per definizione è un central leisure district? Ogni analisi che distingua il pesce in porzioni, più e meno centrali, conferma che la specializzazione turistica e anche quella ricettiva rispetta le teorie della terziarizzazione: è forte (ma non assoluta) a S. Marco e marginale alla Giudecca, dove giustamente si è fatta una politica residenziale dentro un progetto di vitalità urbana che non esclude gli alberghi.
Proviamo a leggere (per quello che i Censimenti e le Anagrafi ce lo consentono) le professioni di chi risiede in città antica: tantissimi pensionati, casalinghe, studenti (oltre il 50%) e, tra gli attivi, un universo di pubblico impiego e professionisti (che lavorano col turismo e gli enti pubblici). La proprietà della abitazione per chi dimora abitualmente in Città Antica tocca il 60% (con uno scarto rispetto ai comuni di prima e seconda cintura della terraferma che arrivano all'83%).
Sarebbe utile una stima di chi erediterà il patrimonio abitativo nel medio periodo (quello di proprietà), di chi potrebbe essere in grado di acquistarlo, con i prezzi che corrono, di chi lascerà libera parte del cospicuo patrimonio locativo pubblico e assimilabile.
Le propensioni demografiche, sociali ed economiche sono evidenti, la direzione chiara. Ciò che è avvenuto, nonostante vincoli che sono caduti solo recentemente e nonostante iniezioni da cavallo di denaro pubblico (anche a favore della residenzialità primaria), è destinato ad una pressante accelerazione.
Se la demografia spiega due terzi di ogni cosa, già dalla fine del Secolo scorso la struttura della città antica è drammaticamente implosa: non solo ci sono pochissimi giovani per ricambiare gli anziani (anche nella occupazione delle case), ma le classi fertili (capaci di ripopolare) sono sempre meno numerose e alla blanda ripresa della natalità (dovuta ai figli dei baby boomers nati negli anni Sessanta), fatalmente seguirà un flop (Pedenzini, 1999).
Riabitare la città antica non è compito per veneziani: la costante perdita di residenti è ormai attribuibile alla implosione naturale più che al saldo negativo tra chi esce e chi entra (Pedenzini, 2003), dovuto alle classi successive al baby boom, a meno che raddoppino il numero di figli procapite. Negli anni successivi al 2003 si assiste ad un fenomeno ancora più interessante: il saldo migratorio resta positivo da fuori comune, mentre cede dalla terraferma veneziana verso la città antica. Non sono ritorni o immigrazioni di prossimità ma un tentativo di ripopolazione che deve basarsi sui foresti.
Se prendiamo i residenti al 1991 per classi e (con una serie di illazioni che gli statistici ci perdoneranno) proiettiamo in via teorica le classi di età al 2007, quelli che avevano oltre 65 anni (ne hanno oltre 81, la probabilità ci dice che dovrebbero essere vedove sole) potrebbero cedere unità abitative a giovani che lasciano il nido familiare (forse): coloro che avevano tra 15 e 19 anni (ne hanno 31-35) e sono solo 4.000 rispetto a 18.000, meno di 1 su 4. C'è poco bisogno di abitazioni per i veneziani: era assolutamente prevedibile 15 anni addietro. E il mercato, si sa, sceglie la strada più facile: attrarre visitatori e abitanti per due giorni, piuttosto che andare alla ricerca di popolazione nuova, immigrati, foresti, coppie giovani magari precarie che non hanno certezza di reddito e di mutuo.
Nel 2007 le classi per età, dei residenti in Città Antica, confermano le nostre rozze previsioni: tra 30 e 34 anni ci sono 3.600 residenti (meno di 16 anni addietro), mentre gli ottuagenari sono ridotti a meno di 5.500 (contro 18.000). Se sommiamo queste due classi, poco oltre i 9.000 residenti, ipotizziamo che il patrimonio abitativo, 'pieno' al 1991 di ottuagenari, sia riempito solo per metà da veneziani di oggi.


L'ospite, l'albergo, il conto

Chiediamo allora alla Regione che attivi facilitazioni per la prima casa, anche (e soprattutto) di persone che dovranno decidere di venire ad abitare in città antica, magari lavorando nel turismo culturale. Dovranno essere politiche molto robuste, quanto quelle che la spontaneità del mercato produce per il turismo.
Ciò che è conveniente sotto il profilo economico non si ferma stralciando un articolo di legge, è come fermare le maree con la sessola.
Naturalmente si deve evitare di facilitare, anche con le norme, la prepotenza del mercato e soprattutto di non avere alcun margine di recupero dei valori che il patrimonio di Venezia garantisce, anche in virtù di grandi investimenti urbani pubblici e collettivi. Pretendiamo, cioè, dall'economia forte, quella ospitale, maggiore riscontro dei benefici ricavati dal cambio di destinazione d'uso - che non può passare in automatismo - e dall'uso del patrimonio pregiato - che troppo spesso è paradossalmente esente dalle normali tassazioni.
Proprio perché questa città è un albergo, ad alta generazione di utile, facciamo tornare i conti.


Isabella Scaramuzzi, giugno 2008 - Doc. COSES n. 1003
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