Chimicamente instabili

di Pierpaolo Favaretto


Foto di Pierpaolo Favaretto


Ancora una volta le sorti della zona industriale di Marghera risultano da reinterpretare. Un Convegno del 1989 titolava: "Porto Marghera. Proposte per un futuro possibile". Le analisi e le considerazioni che il sistema della ricerca aveva prodotto per l'occasione descrivevano perfettamente la parabola delle attività economiche presenti nell'area, perlomeno quelle storicamente insediate.
A rivoluzionare il quadro giunge il periodo delle privatizzazioni. I primi anni Novanta trasformano la zona industriale con alcune dismissioni eccellenti tra cui la Sava, sul sedime della quale nascerà l'esperienza della prima riconversione da funzione industriale a funzione logistica portuale. Nello stesso periodo si inizia a prefigurare una funzione di ricerca e di innovazione che possa essere volano per nuove attività ed una trasformazione di qualità dell'area. Il PST Vega prende le mosse attraverso la ristrutturazione dell'ex Circolo ricreativo Agrimont. Nel 1994 le analisi del COSES per la VPRG di Porto Marghera (approvata dalla Regione Veneto nel 1999) delineano chiaramente funzioni presenti nell'area, loro consistenza, problematiche ambientali legate alla evidente possibilità di dismissione e ad un conseguente riutilizzo delle aree. La riqualificazione dell'asse di via Elettricità ed il suo raddoppio, a beneficio di una migliore accessibilità all'area portuale ed un minore impatto del traffico pesante sul quartiere urbano, vengono progettate allora; risultano ancora largamente non attuate.
Il tema della aree disponibili per nuove aziende accompagna fin dall'inizio degli anni Ottanta e per oltre un decennio, il dibattito sull'area.
Gli esempi di localizzazione ex novo di imprese industriali sono estremamente limitati e comunque non integrati con le produzioni "storiche". La normativa che viene posta in essere dieci anni dopo segna il passaggio verso maggiore complessità per la bonifica delle aree.
Allo stesso tempo appaiono evidenti i segnali di una instabilità del settore chimico, sempre maggiore dopo i primi disimpegni legati alle privatizzazioni. Dalle relazioni aziendali di Eni, fin da allora, si evince una strategia che non considera centrale la cura e lo sviluppo della petrolchimica. Tuttavia, gli accordi cosiddetti "per la chimica" del 1998 e 2001 - sottoscritti da istituzioni, sindacati ed aziende - avevano generato la speranza artificiale di poter rilanciare e soprattutto ammodernare gli impianti di Porto Marghera in un mercato di riferimento che rimaneva importante. Nel 2002, uno degli incidenti più significativi accaduti ad impianti chimici nel nostro paese metteva a dura prova la credibilità di tali accordi che rimangono ancora oggi in larga parte non attuati. Sono passati altri dieci anni. Nel frattempo sono stati persi per strada pezzi della chimica che rispondevano ai criteri di integrazione (e quindi di economicità) delle produzioni di Porto Marghera. La situazione di crisi aziendale della chimica, in extremis gestita attraverso la cessione di Vinyls, appare l'epilogo prevedibile di un percorso che ha frammentato il settore ed i relativi impianti.
Nel 2004, il COSES, nei lavori per la Seconda Conferenza Economica della Provincia di Venezia disegnava già alcuni scenari prevedibili e richiamava la necessità di considerare seriamente gli accordi stipulati. Di fatto la funzione logistica, i trasporti e l'interscambio portuale - fin dal 1994 - hanno occupato spazi ingenti e contribuito ad un ricambio occupazionale nell'area. Da Interporto di Venezia, al Consorzio Darsena, ai progetti futuri di Montefibre, all'utilizzo attuale di aree dell'ex vecchio petrolchimico da parte di Transped.
L'ultima stagione degli Accordi e delle Intese, dal 2005 al 2008, raccoglie gli esiti di una analisi minuta dei progetti, delle possibilità di rilancio delle presenze industriali, delle nuove possibili funzioni insediabili nell'area. Istituzioni, sindacati ed aziende locali ancora una volta propongono al Governo una serie di interventi che, pur sottoscritti, si trovano ad affrontare complesse procedure che ne determinano spesso la non fattibilità sostanziale.
Marghera non è solo chimica. Oggi l'insieme delle produzioni industriali nell'area appare in precario equilibrio, in ragione anche della crisi internazionale (sopravvenuta dopo svariate crisi locali). Alluminio, vetro, cantieristica: sullo sfondo di ogni situazione aziendale stanno i temi delle forniture energetiche, delle materie prime e delle bonifiche.
La logistica viene rappresentata solo da piazzali con container impilati fino al sesto piano: non è solo questo, ma non sarà la logistica a salvare Porto Marghera. La funzione portuale è destinata ad incrementare la propria presenza nell'area e ad integrarla con le funzioni industriali ancora presenti e con quelle che vorranno localizzare a Marghera la loro base logistica. La presenza "terziaria" nell'area è anch'essa destinata ad accrescere il numero di imprese, caratterizzate da un numero di addetti meno rilevante della industria di base.




Forse è venuto il momento di prendere atto, in ritardo, che ciò che ancora vediamo è una scenografia destinata a scomparire. La nuova scena deve ancora essere disegnata e soprattutto manca la volontà di una regia autorevole che tenga insieme le componenti chiamate a decidere. È chiaro che a Porto Marghera, come in altre aree del Veneto, ci deve essere spazio per nuove iniziative industriali. La prima verifica deve partire dalla eliminazione di qualsiasi alibi legato alle procedure ed ai costi di bonifica. Le aziende, non solo Eni, debbono dichiarare in maniera trasparente la volontà di sviluppare un piano industriale, ovvero di definire i criteri ed i limiti della propria permanenza. Solo in tal modo sarà possibile rimodulare con criteri di autentica programmazione l'utilizzo delle aree a Marghera. Senza immaginare che la destinazione "industriale" sia esclusiva, ma ammettendo che un nuovo sviluppo dell'area possa essere aperto a benefiche "contaminazioni" di altri settori, ancora rare, che consentano una ulteriore riconversione occupazionale e un nuovo sviluppo economico alla città ed al Veneto.
Continuiamo a sognare, ma ad occhi aperti. Soprattutto mettiamoci tanta Energia: l'unico settore che non appare in crisi, ma che è in continua trasformazione; auguriamoci sempre più compatibile dal punto di vista ambientale.

di Pierpaolo Favaretto, 18 maggio 2009.


Riferimenti:

Documento COSES n. 514.1/2004
Documento COSES n. 728.3/2006
Documento COSES n. 1059.0/2008


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