Orizzonte 2019: il territorio Capitale

di Isabella Scaramuzzi

Le esperienze di Capitale Europea della Cultura hanno messo in evidenza tre fattori di successo: una forte coalizione di interessi con una leadership riconosciuta; la collocazione dell'evento dentro percorsi di sviluppo locale già avviati e la promozione di nuovo sviluppo durevole, evitando il fuoco di paglia; la coesione su ciò che il territorio Capitale sente di essere o vuole essere.
Di questi requisiti fondamentali, il terzo sembra il più delicato se, come scrive De Michelis (Corriere della Sera, 30 giugno 2011), ancora dobbiamo partire nel riconoscimento di una metropoli. Sono assolutamente d'accordo che la candidatura per il 2019 possa rappresentare ciò che gli studi, i tentativi, le norme non hanno fin qui potuto. Sono stata una fautrice della metropoli più che convinta, sia di quella che esiste nei dati e nei comportamenti, sia di quella che converrebbe riconoscere negli atti, ma oggi sono convinta che tale riconoscimento sia molto più importante "dal di fuori" che non all'interno. E, in questo, certamente, la ribalta Europea del 2019, diventa decisiva, ma da subito lo sono il percorso per la candidatura e le modalità con cui si costruisce. Teniamo presente che si tratta di cultura e di cultura Europea, cioè di qualcosa che dimostra un ruolo di questo territorio Capitale alla scala di macroregione globale e della sua capacità di dialogare, a scala planetaria, con altre macroregioni e con le loro culture. Si tratta cioè di comunicare ciò che si è o si vuole essere con i linguaggi e le modalità culturali: un megaevento, lungo un anno, diverso dagli Expo o dai Giochi Olimpici. È vero che la Cultura ci fa Ricchi e che esistono i cosiddetti Distretti Culturali, ma si tratta di far lavorare ed emergere un sistema molto differente da quelli, metropolitani, delle grandi reti o delle grandi opere o degli aggregati manifatturieri: un sistema delicato, dove la ribalta del megaveneto deve trovare un equilibrio magistrale con la intrinseca caratteristica delle culture locali, del loro reale radicamento e della loro durabilità. È questa una declinazione del cosiddetto sviluppo sostenibile che è sottovalutata ed ha a che fare con la peculiarità assoluta delle manifestazioni culturali, rispetto a qualunque altra economia. Penso, per fare esempi, alla distintiva atipicità delle produzioni cinematografiche, teatrali e artistiche. Ma la stessa cultura materiale, quella gastronomica o enologica, pratica da sempre equilibrismi virtuosi tra il sapere locale -che ne fa un unico- e lo stare alla ribalta, negli eventi, vicino al proprio pubblico che si spera sia qualificato e largo.
Per questo occorre partire subito mettendo in campo tutte le conoscenze del territorio Capitale e catalizzare soggetti ed energie per loro natura molecolari e atipici. Non si può fare leva solo sulle primedonne: i Musei, i Teatri, i festival già affermati. Una seconda sfida, strettamente legata a questa, riguarda il rapporto tra Venezia Dominante e il territorio Capitale, dilemma secolare come spiega De Michelis. È proprio il campo culturale quello nel quale la dominanza Veneziana viene ancora, chiaramente, percepita come una alterità: meravigliosa se goduta o venduta, ingombrante negli altri casi. Più il territorio Capitale si amplia - e nell'orizzonte 2019 sembra davvero molto largo, ben oltre la metropoli vicina delle tre province Patreve- più l'equilibrio tra la molta luce Veneziana e il rischio di ombre all'intorno, richiede una leadership condivisa e un programma complesso. Bisogna partire subito, ieri come si usa dire nelle urgenze, bisogna costruire la candidatura (per il 2013) e bisogna anche vincere, perché finalmente si chiuda l'epoca delle analisi accademiche, delle polemiche e delle norme disattese: sia apra un lustro di evidenza del territorio Capitale, che esiste nei fatti.


di I. Scaramuzzi, 30 giugno 2011

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