Strategie di sviluppo locale:
i distretti culturali

Estratto dalla tesi di laurea specialistica in "Economia dello sviluppo locale" di Riccardo Dalla Torre

Perché indaghiamo

L'economia della cultura è un settore in continua evoluzione. Infatti, si stima che in Europa siano occupati nel settore culturale 4,2 milioni di persone (il 2,5% del totale dei lavoratori nel 2002), mentre solo in Italia (come si può vedere in fig. 1), il valore aggiunto del settore culturale, nel 2003, ha superato i 20 miliardi di euro, un valore in continua crescita.


Fig. 1. Valore aggiunto delle attività culturali, ricreative
e sportive in Italia, 1995-2003


Fonte: Istat.


Osservando i dati riportati in tab. 1, si nota come le percentuali più alte di occupati nel settore culturale spettino ai paesi che presentano, anche, un alto grado di innovazione tecnologica (che poi sono gli stessi che si contraddistinguono per una più vasta classe creativa tra le forze di lavoro). Di conseguenza, sembra delinearsi la prospettiva secondo la quale un tasso elevato di occupazione nel settore culturale sia indice di competitività. Anche perché, i medesimi paesi, non si trovano ai vertici della famosa World Heritage List dell'Unesco, che misura il numero di siti culturali di rilevante interesse internazionale. Quindi, molto probabilmente, questi Stati sopperiscono a una carenza connessa alla dotazione di patrimonio culturale, con una politica della competitività che, vista la situazione economica attuale, si mostra più vantaggiosa.


Tab. 1 Cultural employment e livelli di istruzione in Europa, 2002

PAESI Cultural
employment
(in migliaia)
Cultural
empl. ratio
(% di total empl.)
% di university
graduates (1)
Total empl.
% di university
graduates
Cultural empl.
EU 25 (2) 4.164,3 2,5 24 40
Belgio89,0 2,3 35 51
Rep. Ceca 79,6 1,8 13 33
Danimarca 79,9 3,1 27 43
Germania 929,7 2,7 23 36
Estonia 19,9 3,7 33 60
Grecia 81,7 2,5 24 37
Spagna 307,9 2,0 31 51
Francia 434,0 2,1 28 51
Irlanda 42,8 2,7 29 40
Italia 453,0 2,2 14 27
Cipro 7,3 2,5 33 65
Lettonia 15,0 1,8 25 35
Lituania 30,1 2,7 53 79
Lussemburgo 3,2 1,8 21 31
Ungheria 69,0 1,9 18 43
Malta (3) nd nd nd nd
Olanda 249,1 3,3 25 39
Austria70,4 2,0 19 32
Polonia nd nd nd nd
Portogallo 60,4 1,4 11 25
Slovenia 20,1 2,5 16 34
Slovacchia 27,0 1,4 14 34
Finlandia 78,8 3,5 34 38
Svezia139,6 3,3 26 38
Regno Unito 877,1 3,2 28 43
Islanda 6,1 4,2 24 44
Norvegia 48,4 2,2 34 45
Bulgaria 50,5 2,1 28 54
Svizzera 93,3 2,7 24 36
(1) Si considerano university graduates i laureati
(2) Il dato aggregato per l'Europa a 25 si basa, in realtà, su 23 Stati, in quanto non ci sono dati disponibili per Malta e Polonia
(3) Nd indica un dato non disponibile

Fonte: Eurostat Labour Force Survey


Lo studio dei dati e l'analisi degli indicatori ci portano ad occuparci della cultura come business. Infatti, negli ultimi anni, in Italia è aumentato anche il volume di lavoro impiegato nel settore ricreazione e cultura e l'incidenza della spesa per i consumi culturali.
Tutto questo, poi, è inserito in un contesto nel quale il turismo culturale è in forte espansione e realtà molto dotate dal punto di vista del patrimonio culturale e artistico, come quella italiana, segnalano sensibili incrementi nelle presenze turistiche (vedi fig. 3).


Fig. 3. Presenze (in migliaia) nelle città d'arte italiane, sul turismo totale, 1995-2002


Fonte: MiBAC-TCI


La cultura, tuttavia, non ha valore solamente in quanto crea profitti, ma anche perché indirizza la società verso nuovi modelli di uso del tempo e delle risorse. Bisogna infatti considerare l'aspetto più immateriale della cultura, intendendo la stessa come bene meritorio e per questo degna di tutela. Infatti, se il consumo culturale entra a far parte dei modelli di comportamento, il territorio riesce a manifestare una positiva tendenza verso l'innovazione e la creatività. Di questi aspetti, beneficiano tutti i settori ad alta intensità di conoscenza ed è a questo punto che anche l'industria culturale genera profitti.


Cosa indaghiamo

Come riferimento del nostro lavoro, ci serviamo delle categorie utilizzate dall'Eurostat in materia di occupazione culturale. Per cultural employment, l'Eurostat intende sia le cultural occupations, sia le cultural activities. Per quanto riguarda le prime, si riferisce a professioni con una dimensione culturale e quindi, a titolo di esempio: scrittori, pittori, scultori, architetti, librai. Per quanto concerne le seconde, invece, esse includono tutti quei ruoli che operano all'interno delle industrie culturali, indipendentemente dalla funzione svolta, sia essa manageriale, amministrativa, tecnica o, ovviamente, artistica.
Il settore ricreazione e cultura, invece, comprende le seguenti attività (secondo la classificazione Nace Rev. 1 delle attività economiche): produzioni e distribuzioni cinematografiche e di video, attività radio televisive; altre attività dello spettacolo (per esempio discoteche e sale giochi); attività delle agenzie di stampa; attività di biblioteche, archivi, musei ed altre attività culturali; attività sportive; altre attività ricreative (per esempio giochi d'azzardo).


Diamo i numeri

Dall'analisi emergono dati importanti. Si nota, infatti, che il 40% di quanti lavorano nella cultura è laureato, contro una media generale del 24%. In tutti gli Stati membri il tasso di laureati è superiore tra i lavoratori del settore culturale, con alcuni paesi (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Portogallo, Slovenia) nei quali lo sbilanciamento è notevole. La stessa Italia presenta una percentuale di laureati tra gli occupati nella cultura del 27%, a fronte di una media generale del 14%. Si nota che il nostro paese ha un tasso di laureati molto basso (solo Repubblica Ceca e Portogallo hanno una percentuale inferiore) e nel settore culturale siamo penultimi in graduatoria, seguiti solo dal Portogallo. È invece la Lituania ad avere il tasso di laureati più alto nell'area culturale, ben il 79%.
La domanda di cultura, d'altra parte, è in continuo aumento e si esprime con bisogni sempre più sofisticati. Per questo l'offerta deve adeguarsi ai nuovi livelli della domanda e alle nuove modalità di consumo, sviluppando offerte specifiche che valorizzino le potenzialità dei singoli territori.
Come si può vedere in fig. 2, l'indice di domanda culturale, calcolato come rapporto tra il numero dei visitatori degli istituti statali d'antichità e d'arte e la superficie della zona considerata in kmq, aumenta costantemente tra il 1995 e il 2003. Particolarmente elevato è il valore del centro, soprattutto per la presenza di Firenze e Roma. Si può notare, infine, l'incremento cospicuo del nord-est nel 2002, in concomitanza con l'apertura del circuito "Percorso Marciano", che include numerosi e importanti siti museali e archeologici, nella zona di Piazza San Marco a Venezia.


Fig. 2. Indice di domanda culturale in Italia, 1995-2003.


Fonte: Istat, Statistiche culturali; Dipartimento beni culturali della Regione Sicilia..


Stelle e strisce di cultura

Prendiamo ora in esame i casi di alcune città che hanno saputo creare sviluppo attraverso il fattore culturale. Le città nordamericane di St. Louis e Denver mostrano differenti modalità, per mezzo delle quali dare vita ad una crescita culturale ed economica, partendo da realtà non particolarmente dotate dal punto di vista del patrimonio artistico-culturale.



St. Louis: musicisti con il St. Louis Arch sullo sfondo


St. Louis rappresenta l'esempio di una città industriale inquinata e insicura, che è riuscita a cambiare la sua immagine. La culla del blues, iniziò nel 1996 un programma radicale di rivitalizzazione che partì dall'iniziativa di 1200 volontari. Il primo passo fu quello di coinvolgere i cittadini nella gestione urbana, in un insieme eterogeneo composto da tutti gli attori sociali: prima il non-profit e la libera iniziativa civile, poi l'amministrazione pubblica locale.
Nacque il piano St. Louis 2004, con lo scopo di creare un vero e proprio progetto di sviluppo, coinvolgendo più soggetti possibili. Sembrava un progetto utopistico, lontano dalla realtà. Invece le cose andarono meglio di quanto ci si aspettasse. Forse perché ci furono ingenti risorse a disposizione e incentivi fiscali, forse perché si impegnarono sei gruppi di lavoro e ventinove task force, forse perché furono date scadenze da rispettare, parametri da valutare, effetti da monitorare. Fatto sta che St. Louis oggi viene indicata tra le dieci aree metropolitane statunitensi più sviluppate.
La cultura ha influenzato tutto il progetto: dalla riprogettazione del sistema dei trasporti pubblici, all'orientamento professionale dei giovani. Infatti, molti artisti vennero coinvolti (e lo sono tuttora) nella gestione dei trasporti e nella formazione dei ragazzi, sensibilizzandoli alle nuove opportunità lavorative in tema di creatività.
Ora la città può offrire molte alternative culturali ai suoi abitanti: c'è un'orchestra sinfonica (la seconda, per importanza, degli Stati Uniti), un museo d'arte contemporanea, uno dei parchi più belli d'America (più grande di Central Park), che ospita due musei e un centro scientifico. Questi sono solo alcuni esempi, all'interno di un fiorire di manifestazioni ed eventi culturali, con prezzi accessibili, alcuni gratuiti ed altri a partire da 25 centesimi di dollaro.
Non bisogna poi dimenticare che la cultura partecipa ai processi di trasformazione delle aree industriali dismesse, in partnership che coinvolgono il settore pubblico, le imprese, le organizzazioni non-profit. Le imprese, nel fare ciò, rispondono alle esigenze di responsabilità sociale, incrementando il consenso attorno a loro e, in ultima analisi, migliorando la loro competitività di sistema. I cittadini, che negli Stati Uniti sono i principali finanziatori della cultura, rafforzano, dal canto loro, la propria appartenenza comunitaria.



Denver: face scupture nella downtown


Se la rinascita di St. Louis è partita dal basso, in un chiaro esempio di politica bottom-up, l'esempio di Denver ci mostra come anche una strategia top-down possa funzionare e che quindi non ci siano ricette esclusive per favorire lo sviluppo di una zona attraverso la cultura.
La città del Colorado, infatti, nota come capitale degli sport di squadra tanto cari al popolo americano (basket, hockey, baseball, football), registra anche un elevato numero di turisti, spinti da motivi di carattere culturale.
Il fatto che Denver sia divenuta una destinazione culturale lo si deve, in parte, a una tassa di scopo. Infatti, le organizzazioni coinvolte nella fioritura di Denver quale centro culturale, sono quelle che ricevono fondi dal Scientific and Cultural Facilities District (SCFD): un'agenzia pubblica che si finanzia ricevendo un centesimo ogni dieci dollari di fatturato prodotti nelle contee che appartengono all'area metropolitana di Denver. L'agenzia ha potuto così disporre di molti fondi, destinati allo sviluppo dell'industria culturale, che ha portato ad un aumento complessivo dell'impatto economico del 73% nel periodo 1992-2001, al netto dell'inflazione. Va segnalato che, nello stesso periodo, la SCFD ha visto aumentare i propri fondi da 14 a 37 milioni di dollari. Il livello di impiego nel settore culturale ha avuto un incremento del 188%; il numero di visite ad eventi culturali dell'80%. I volontari, infine, che testimoniano il dinamismo sociale della città e il coinvolgimento identitario, sono aumentati addirittura del 212%.
Un aspetto da non trascurare è il costo per utente, che è di soli 14,58 dollari. Irrisorio, in confronto alla vastità della produzione culturale. Questo è possibile perché la SCFD spende pochissimo per i costi amministrativi (lo 0,75%) e perché compie un accurato controllo dei destinatari dei fondi che eroga.


La cultura in campo

In riferimento alle strategie di sviluppo culturale nelle città d'arte, in Italia si parla di "modello Siena". L'Amministrazione Comunale, infatti, ha promosso un modello di sviluppo socioculturale coerente con l'identità locale. Un progetto, quindi, di sviluppo locale, che non percepisce il turista come un elemento estraneo, ma che mira a farlo partecipe della città. In quest'ottica, le politiche culturali si liberano dalla condizione di marginalità in cui spesso vengono relegate, per diventare uno degli assi portanti del programma del Comune di Siena. Questo progetto diventa un vero e proprio piano strategico, che vuole condurre la città ad uno sviluppo sostenibile, basato sulla cultura.
Un elemento cruciale del progetto è dato dall'interpretazione della funzione della cultura. Da un lato, infatti, c'è la visione di questa come leva di sviluppo produttivo e occupazionale. Da un altro, essa viene considerata un indice di qualità e di civiltà urbana.
In questa prospettiva, i progetti dei diversi settori (commercio, trasporti), si legano gli uni agli altri e si sostengono a vicenda, con la cultura che funge da collante, anche perché costituisce un elemento di identità locale condivisa. La valorizzazione del patrimonio artistico, infatti, si accompagna a nuove forme di offerta e servizi innovativi e tecnologici, distribuiti per via telematica.
Per realizzare la propria strategia, l'Amministrazione Comunale ha seguito tre linee principali:
  1. l'ampliamento dell'offerta culturale della città, sia in termini quantitativi che tematici, attraverso nuove strutture espositive e il recupero di beni culturali o spazi già attivi;
  2. l'innalzamento degli standard dell'offerta di servizi complementari alla fruizione, per mezzo di una politica di accessibilità applicata ai musei comunali;
  3. la qualificazione del sistema di accoglienza della città, in particolare il potenziamento degli standard dei servizi.



Siena: Piazza del Campo


In tab. 2 si può notare il notevole incremento dei visitatori, presso i musei senesi, nel corso degli anni Novanta. Col passare degli anni, vengono aperti nuovi musei e quindi, in particolare sul finire del decennio, c'è una maggiore distribuzione delle presenze tra le diverse strutture.


Tab. 2. Visitatori museali nel comune di Siena, 1988-1999

MUSEOANNI
198819891990199719981999
Museo archeologico nazionale - - - 6.574 3.800 2.114
Pinacoteca nazionale - 54.169 59.944 43.635 46.238 41.195
Totale Musei statali - 54.169 59.944 50.209 50.038 43.309
Museo civico 206.207225.197 233.397 219.744 217.853 232.783
Torre del Mangia - - 182.840 195.045 207.110 211.515
Santa Maria della Scala - - - 38.571 52.692 60.967
Palazzo delle Papesse- - - - 5.00023.268
Totale Musei civici 206.207 225.197 416.237 453.360 482.655 528.533
Museo dell'Opera 119.033 157.209 126.216 170.130 149.918 152.865
Libreria Piccolomini 153.215 176.132 154.654 299.344 140.559 149.950
Battistero San Giovanni - - - 199.656 186.267 286.813
Oratorio San Bernardino - - - 23.044 4.595 2.928
Totale Musei opera 272.248 333.341 280.870 692.174 481.339 592.556
Accademia Fisiocratici - - - 2.409 2.362 3.068
Cripta delle statue 24.599 26.046 22.962 - - -
Orto botanico - - 3.000 8.000 7.000 7.000
Villa Chigi Farnese - 4.915 667 - - -
Totale Musei altri enti - 30.961 26.629 10.409 9.362 10.068
Totale Visitatori 490.755 643.668 783.680 1.206.152 1.023.394 1.174.466
N.B.: in BLU i dati stimati

Fonte: IZI su dati Enit, Comune di Siena, Sovrintendenza BAAS di Siena
e Grosseto, Ministero BAC, Opera della Metropolitana, Santa Maria della Scala,
Palazzo delle Papesse, Orto Botanico, Accademia dei Fisiocratici

Un punto chiave è stato la consapevolezza delle inefficienze derivanti dalla scarsa connessione tra i diversi attori del sistema culturale senese. Su questa base, è nata la volontà di costruire una rete di relazioni tra tutti i principali beni e musei della città, cercando una possibile integrazione anche con il sistema museale provinciale.
L'obiettivo di fare di Siena una città-modello è passato direttamente attraverso una interconnessione tra musei e poli culturali vari (organizzazione a rete di beni e musei comunali, bigliettazione integrata fra musei comunali ed ecclesiastici), ma anche per mezzo di un miglioramento del sistema dei trasporti, dei parcheggi, delle attività commerciali e dei servizi di accoglienza turistica. A questo si aggiunge l'ideazione di un sistema di erogazione, per via telematica, di servizi integrati al turista (prevendita di biglietti per i musei, prenotazione di posti-pullman nei parcheggi, prevendita di visite guidate e di biglietti per spettacoli o mostre). Inoltre, il Comune ha creato una carta magnetica, "Le Chiavi della Città", che consente a cittadini e turisti il pagamento in ristoranti, musei, negozi, servizi pubblici e parcheggi, oltre ad un rapido accesso alle informazioni e alle prenotazioni.
In ultima analisi, l'elemento fondamentale è stato la visione integrata dei servizi di accoglienza e la maggiore accessibilità connessa alla cultura. Si è passati a una logica di offerta d'area, nell'ottica della costruzione di reti culturali e sistemi turistico-culturali.


Modello Valentino

Quando si pensa all'insieme dei distretti industriali, difficilmente ci si riferisce ai distretti culturali. Tuttavia, anche l'arte e il patrimonio culturale in generale, i musei e i beni basati sul design più in particolare, possono articolarsi in filiere con caratteri innovativi e organizzarsi nella forma distrettuale, attraverso lo sviluppo di piccole e medie imprese fortemente integrate all'interno del territorio e nella comunità locale e che condividano tacitamente le conoscenze specifiche.
Valentino definisce il distretto culturale come "un sistema, territorialmente delimitato, di relazioni che integra il processo di valorizzazione delle dotazioni culturali, sia materiali che immateriali, con le infrastrutture e con gli altri settori produttivi che a quel processo sono connesse".
Richiamandosi al concetto di sistema, l'autore, intende riferirsi ad una struttura, al cui centro c'è la valorizzazione della risorsa principale, mentre ad essa sono collegati i processi di valorizzazione delle altre risorse del territorio (beni ambientali, prodotti tipici, eventi e manifestazioni collegate soprattutto alla cultura locale), le infrastrutture territoriali (i servizi di accessibilità e del tempo libero come cinema, teatri e piscine), i servizi di accoglienza (alberghi, bar, ristoranti) e le imprese collegate al processo di valorizzazione. Maggiori sono le connessioni che si creano e più il distretto si sviluppa e genera impatti economici.
Le risorse che possono essere valorizzate, sottoforma di distretto culturale, sono molte e di varia natura. Questa, probabilmente, è una debolezza del modello, che accorpa realtà molto differenti tra di loro. Infatti, confluiscono nello stesso sistema: beni culturali e patrimonio artistico, spettacoli dal vivo, mostre, eventi, prodotti tipici, beni basati sul design e sulla moda, industria cinematografica e televisiva, produzione di arte contemporanea, industria editoriale e multimediale.


Modello Santagata

La tab. 3 illustra la tassonomia dei distretti culturali, elaborata da Santagata, sulla base di quattro caratteristiche principali. La classificazione dei distretti culturali risulta suggestiva e molto utile per comprendere quali espressioni di cultura possono assumere la forma distrettuale e in che modo.


Tab. 3. Distretti culturali per classe e caratteristiche economico-istituzionali

Beni e servizi
forniti
Il modelloEsternalità
positive
Protezione della
conoscenza e
della reputazione
Esempi
Distretto
culturale
industriale
design
audiovisivi
cinematografia
moda
storico-
evoluzionista
di produzionebrevetti,
segreti,
conoscenza tacita,
marchi di
fabbrica
Murano,
Caltagirone,
Los Angeles,
Valenza Po
Distretto
culturale
istituzionale
cultura delsavoir vivre,
mostre e fiere
fondato sulle
istituzioni
di produzione
e di consumo
diritti di origine,
diritto collettivo
di denominazione
Langhe,
alimentare tipico
in generale
Distretto
culturale
museale
reti di museipolitica
pubblica
di consumo
e di rete
copyright,
marchio di
fabbrica
(logo, insegna)
Strasburgo,
Amsterdam,
Berlino,
Venezia
Distretto
culturale
metropolitano
teatri
cinematografia
gallerie d'arte
politica
urbana
di agglomerazione copyright,
diritti d'autore
Glasgow,
Manchester,
Bilbao
Fonte: W. Santagata, "Cultural districts and economic development",
Working Paper Series (EBLA), No. 1/2004.


Innanzitutto Santagata considera i beni e i servizi forniti da ciascuno.
Il distretto culturale industriale produce soprattutto beni di design, ad alto contenuto artistico, come quelli destinati al settore cinematografico e audiovisivo, o alla moda. Si tratta di produzioni assimilabili per molti aspetti ai tradizionali distretti industriali.
Il distretto culturale istituzionale, invece, riguarda prodotti più legati alla cosiddetta cultura del savoir vivre: si annoverano in questa categoria le produzioni eno-gastronomiche di alta qualità, che spesso si accompagnano a mostre e fiere promozionali.
Il distretto culturale museale mira alla gestione integrata di più musei.
Il distretto culturale metropolitano, infine, ambisce alla produzione di cultura, nell'ambito degli spettacoli dal vivo e dei prodotti multimediali.
Santagata, poi, prende in esame il modello distrettuale, intendendo riferirsi al modo in cui lo stesso prende forma.
Il distretto culturale istituzionale si fonda sulle istituzioni stesse, il distretto culturale industriale è molto vicino al modello tradizionale, con le differenze connesse alla natura speciale dei beni presi in considerazione. Balza agli occhi la natura di policy delle ultime due tipologie.
Analizziamo ora le esternalità positive delle diverse classi.
La prima tipologia si dimostra ancora una volta molto simile, per così dire, all'originale, in virtù delle esternalità di produzione che sviluppa.
Il distretto culturale istituzionale, si differenzia grazie a delle esternalità di consumo collegate in modo particolare alla promozione dei beni, attraverso fiere locali.
Il distretto museale, invece, registra esternalità di consumo per la concentrazione spaziale degli edifici, che favorisce i visitatori, e per la rete, che gestisce le strutture in maniera coordinata.
Il distretto metropolitano sfrutta l'agglomerazione degli spazi destinati alla cultura.
L'ultima caratteristica che Santagata prende in esame è la protezione della conoscenza e della reputazione del distretto.
Questa avviene in molti modi per il distretto culturale industriale, dai brevetti ai marchi, senza dimenticare la conoscenza tacita, che rappresenta il substrato storico del distretto, il tratto sociale distintivo, in quanto espressione del saper fare degli addetti.
I diritti di origine, invece, sono le risorse su cui i distretti istituzionali basano la loro reputazione, l'equivalente del copyright degli artisti che operano all'interno del distretto metropolitano.
Per quanto concerne il distretto museale, le strategie adottate possono essere diverse, più verosimilmente associate ad un marchio comunicativo e identitario.


Modello Sacco

Una prospettiva interessante, può essere il modello, teorizzato da Sacco, del distretto culturale evoluto. Quest'ultimo si mostra come una combinazione di forme di organizzazione top-down e bottom-up, essendo un processo di autorganizzazione guidata. Un distretto multi-filiera, che si basa sull'integrazione di tre approcci diversi, che possono trovare interessanti relazioni. Sacco e Tavano Blessi si riferiscono a:
  1. l'attrattività e la localizzazione della classe creativa (Florida);
  2. l'orientamento all'innovazione e la riconversione produttiva (Porter);
  3. la capacitazione (Sen).

Il distretto culturale evoluto dovrebbe convogliare tre effetti:

  1. esercitare attrazione verso l'esterno, soprattutto verso professionisti e talenti creativi;
  2. produrre innovazione per il sistema economico, ma anche per quello culturale;
  3. orientare e indirizzare gli individui e la società verso attività ad alto contenuto esperenziale.

La combinazione di questi tre effetti può costituire un'occasione di crescita per il territorio. Infatti, le politiche internazionali di successo, sono passate attraverso un'impostazione che aveva, come punti cardine, i tre approcci di Florida, Porter e Sen, più o meno implicitamente. Peraltro si tratta di strategie collegate le une alle altre, quasi concatenate, visto che, per esempio, si produce più facilmente innovazione in un ambiente creativo.

A questo modello si ispira la Fondazione per la Cultura di Firenze. Si tratta di un progetto di sviluppo culturale cui partecipano istituzioni pubbliche, enti e associazioni. Si fa riferimento al modello di distretto culturale evoluto, con l'obiettivo di dare vita ad un sistema locale fortemente orientato ai processi ad alto valore aggiunto immateriale, capace di integrare le filiere della creatività culturale e del turismo con le filiere produttive industriali del territorio.

In particolare, sono stati individuati dieci obiettivi strategici per la città, che la Fondazione dovrà perseguire:

  1. sostegno alla domanda culturale dell'area metropolitana e relative politiche sistematiche di formazione e capacitazione;
  2. sostegno alle forme di produzione culturale innovativa e dalla forte proiezione internazionale;
  3. orientamento a forme di turismo culturale sostenibile, ad alto valore aggiunto e caratterizzato da tempi di permanenza medi e medio-lunghi;
  4. creazione di complementarietà strategiche tra filiere culturali e non-culturali;
  5. orientamento all'inclusione sociale nei processi di partecipazione culturale e di creazione di nuove filiere produttive;
  6. attrazione del talento esterno su base stabile/semi-stabile;
  7. promozione dell'orientamento professionale giovanile rivolto alle nuove professioni creative;
  8. promozione di contenitori culturali e incubatori di imprenditorialità creativa per riconversione/equilibrio urbanistico;
  9. promozione di una crescente integrazione tra il sistema dell'imprenditoria creativa e il sistema universitario;
  10. promozione dell'integrazione tra la creatività culturale e la creatività scientifico-tecnologica.

Gli ambiti a cui questi obiettivi si riferiscono, riguardano cinque settori di attività: grandi mostre e patrimonio storico, cultura del contemporaneo, networking territoriale, giovani, networking esterno. Si tratta, in definitiva, di una vera e propria politica industriale per la cultura del territorio, che non si limita a promuovere lo sviluppo locale di attività storico-artistiche ma che si propone di mettere in valore la produzione culturale come fattore più generale di innovazione dell'industria e dei servizi.


Riccardo Dalla Torre, Aprile 2006
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