Seminaio COSES - Doc. 1072 aprile 2009
a cura di Marina Dragotto e Isabella Scaramuzzi
Su questo tema si veda anche il Documento 1065.1 di Isabella Scaramuzzi.
Pur con tutte le incertezze del quadro, il dibattito aperto dalla proposta governativa a livello nazionale ha toccato diversi temi che vogliamo riprendere oggi:
Dopo tanto discutere, ad oggi, la materia naviga nella generale incertezza.
La Conferenza Stato-Regioni ha prodotto un accordo che abbozza alcuni punti, ma, soprattutto, riporta in capo alle regioni tutte le decisioni. Pur essendo scaduti i dieci giorni per l'emanazione del decreto-legge non abbiamo ancora una bozza di testo, né un'idea precisa di quali contenuti il Governo voglia davvero dare. Certamente il terremoto ha influito su questo ritardo, sia per l'assorbimento di energie, sia per la drammatica evidenza della fragilità del nostro territorio, della nostra edilizia e delle nostre regole, evidentemente inadeguate, dei mancati controlli.
Le Regioni stanno discutendo l'impostazione delle loro leggi, ma, naturalmente, nessuna ha concluso il suo iter; nemmeno il Veneto dove il testo è tornato questa settimana in Commissione, "forte" di una vasta e approfondita serie di osservazioni.
I PUNTI DELL'ACCORDO STATO-REGIONI
Gli obiettivi dichiarati:
Abbiamo sentito 4 Regioni particolarmente significative.
La Lombardia: vanta il fatto di avere norme già oggi molto avanzate sul fronte della semplificazione procedurale e l'orgoglio di non aver necessità di un decreto-legge nazionale per legiferare in materia urbanistica e edilizia. In ogni caso ha accelerato su alcuni punti (la rottamazione) e sta mettendo a punto un disegno di legge che mira a sostituire tutti gli errori fatti in materia di "brutture edilizie" con particolare attenzione ai centri storici. Si tratta di rottamazione mirata.
L'Emilia Romagna e la Toscana stanno faticosamente cercando di trovare una strada che da un lato tenga alto il ruolo della programmazione (rilancio dei Programmi Integrati) e dall'altro "insegua" il Governo nella capacità di parlare direttamente agli italiani. Secondo un sondaggio del Sole 24 Ore il 60% delle famiglie italiane proprietarie di case uni-bifamigliari si dichiara disponibile a fare un intervento di ampliamento della loro casa; il 18% ritiene di poter realmente intervenire. Il dato politico e sociale, è importante e la capacità di interpretare i sentimenti dei cittadini non lascia indifferenti i governi Regionali.
Il Veneto ha proposto immediatamente un disegno di Legge che ha riscosso l'interessamento di molti soggetti privati e pubblici, sia a mezzo stampa che in una partecipata audizione in Commissione.
I tratti principali di questo testo riguardano, oltre al recepimento delle indicazioni sugli aumenti volumetrici consentiti (ancora divisi tra un 30% senza qualità e un 35% in bio-edilizia):
Nelle società complesse come la nostra, i legittimi interessi di tutti i soggetti privati coinvolti nei processi di trasformazione territoriale possono essere realmente mediati e garantiti solo da un soggetto pubblico, in assenza del quale vince la legge del caso e del più forte o più capace. In questo senso la rinuncia al ruolo pubblico resta l'aspetto generale più critico della proposta governativa (l'unica nota, ancorché non ufficiale). Rinunciare a correggere le molte, grandi e inconfutabili storture del regolatore pubblico, rimettendo diritti ma anche costi e responsabilità generali nella potestà di ciascun singolo privato, sembra un passo indietro nella riforma dello Stato, degli Enti locali e nella (indispensabile) mediazione tra driver dell'interesse privato e bene comune.
La non corrispondenza tra unità abitative e persone è chiara a tutti gli addetti ai lavori.
L'articolo di Stella (2009) già ripreso criticamente da Micelli (2009) e Della Puppa (2009), non rappresenta solo un "fraintendimento" giornalistico o una ingenuità dei ricercatori, ma un errore troppo ricorrente negli osservatori comuni.
La casa è un bene legato alle famiglie (in senso lato) e anche al loro livello mutevole di benessere, così come agli stadi del cosiddetto ciclo di vita: i figli si sposano o si accasano, i nuovi nuclei crescono, i nuovi figli pure. Le famiglie si formano e si disfano, si ricompongono, gli anziani restano vedove/i, ci sono le famiglie monoparentali, i single di ritorno, i dico e così via. In qualunque modo si concepisca la famiglia o la convivenza è questa l'unità di misura da confrontare con le abitazioni: tanto che i politici più accorti adesso denominano il provvedimento a venire piano famiglie.
Lo standard procapite di benessere, comunque misurato, è indubbiamente cresciuto (specialmente nel Nordest) insieme alle case e allo spazio abitativo procapite. Si consuma superficie così come si consumano più auto, più abiti, più cellulari e PC, più vacanze. Ognuno, singolarmente difende la propria ricchezza e su questo sentimento diffuso e popolare fa leva la proposta del Governo: si dimostra una elevata capacità di interpretare i sentimenti dei cittadini. Anche se il ricorso agli ampliamenti non sarà concretamente sfruttato, il senso di restituzione della libertà di agire, aumenta il valore percepito di ciò che già si possiede.
Piuttosto interessante, per valutare il potere del messaggio già passato con l'annuncio delle intenzioni, è l'effetto presso alcuni tenaci oppositori del cemento: alcuni comitati che ostacolano decisamente nuove case nella terraferma veneziana (proposte da IVE) mostrano maggiore interesse e positività rispetto all'ampliamento delle case uni e bi-famigliari. Il cemento diffuso, se così possiamo chiamarlo, sembra entrare più facilmente nella cultura e negli interessi degli abitanti. Questa "immagine del proprio paesaggio costruito" (che conferma le nostre indagini su Marcon, Dragotto et al. 2007) legittima la previsione che tale paesaggio non dovrebbe modificarsi molto (peggiorare, secondo alcuni; forse migliorare secondo gli ottimisti) e, comunque, rimanere simile a sé stesso (bruttissimo secondo gli esteti; come lo abbiamo fatto, secondo chi l'ha fatto).
La casa vince contro la burocrazia, la mia casa vince contro i progetti delle istituzioni.
Le previsioni demografiche per il Veneto (PTRC) dimensionano la crescita della popolazione residente in 700.000 unità, bisognerebbe poter prevedere quanti nuclei famigliari si intrecceranno con questa grandezza generica: si tratta, comunque, di tre città di Treviso, almeno. Le case nuove sono necessarie, in particolare per la forte componente dei nuovi veneti, gli immigrati dei quali si ha necessità per sostenere la manifattura e il welfare. Elementi del nostro benessere ai quali non intendiamo rinunciare: la struttura produttiva nordestina e la qualità della vita delle famiglie (persone che si occupano della cura) sono valori assolutamente condivisi dai cittadini e, quindi, saranno riconosciuti anche i nuovi veneti che li rendono duraturi.
I nuovi veneti non hanno patrimonio e non hanno, in genere, capacità reddituali immediate per l'acquisto di casa (le genereranno in loco, nel tempo). Le case vanno fatte in previsione delle modifiche strutturali del nostro paesaggio antropologico e dei nuclei familiari.
I popoli immigrati hanno comportamenti molto diversi - oggi - rispetto al ricongiungimento famigliare e alla conseguente tipologia di residenza cercata: sia temporaneamente che sul medio periodo (Bragato, Colladel 2009).
Cinesi e bangladeshi orientali immigrano da con la famiglia e comprano casa velocemente. Africani maschi vengono soli e tendono a coabitare provvisoriamente. Donne europee orientali in relazione alla professione convivono nelle famiglie italiane o residenti presso cui lavorano; ma sul lungo periodo potrebbero ricongiungere il nucleo in Italia e ricercare una sistemazione indipendente.
Il 10% degli immigrati residenti nella terraferma comunale veneziana (Fondazione Gianni Pellicani, COSES, 2009) testimonia l'importanza di questa sottopopolazione per l'assetto abitativo della città. Alcune concentrazioni etniche, per via o in taluni spazi ed ore, tendono a determinare il nuovo paesaggio urbano anche se, nella nostra provincia, sono tuttora assenti ghetti etnici (la concentrazione per zone non supera mai percentuali allarmanti, arrivando al massimo 10-15%), come invece avviene in altre realtà regionali e in altri Paesi dell'Unione Europea. I nuovi veneziani sono piuttosto diffusi il che significa, almeno potenzialmente e in questo senso, una maggiore integrazione. Nel PTCP si è addirittura voluto indicare questa realtà fattuale come buona linea guida per il futuro: evitare qualsiasi risposta abitativa ghettizzante, separata e distinta dalla residenza tout court.
Si ricorda, anche, che è tipico dei cuori antichi o vecchi delle città centrali ospitare (per lo più temporaneamente) tipologie di residenti e di attività (ad esempio cultural giovanile o artigianato etnico) marginali, che in genere precedono quella che viene definita gentrification: demolizione e ricostruzione speculativa dei quartieri.
Mentre i centri antichi saranno, dopo l'ondata di critiche alla prima ipotesi governativa, verosimilmente tutelati si deve tener presente la situazione di molti centri città non antichi o molto compromessi dal dopoguerra in avanti.
Si rilevano alcune concentrazioni di via legate anche alla obsolescenza del patrimonio: ciò produce comunque un interessante reddito immobiliare se confrontato con lo scarso valore dell'edificio. Motivo che consiglia di essere molto prudenti con le proposte di rottamazione generalizzata. La linea lombarda di rottamazione mirata può essere economicamente più verosimile e sostenibile. Modelli sofisticati di valutazione degli investimenti mostrano come il punto di rottura tra la convenienza a demolire e ricostruire e la convenienza a locare anche a costo basso con una remunerazione sufficiente rispetto al valore residuo dell'edificio, avvenga in determinate situazioni di "valore fondiario" e non in altre. I casi di Altobello e di via Piave, a Mestre, rappresentano due punti diversi di rottura: il primo rende conveniente la rottamazione, il secondo no. Esistono evidentemente molti stadi intermedi in cui il restyling (involucro esterno o accessori interni) allunga la redditività del bene. Ci sono, altresì, casi in cui il valore dell'area (costruita) elevato da elementi urbani estranei all'edificio (es. le nuove centralità urbane derivate dalla ristrutturazione delle reti di TPL) determina valori di convenienza diversi.
È chiaro che la rottamazione di unità abitative mono e bifamiliari, con premialità rispetto a ricostruzione ecosostenibile costituisce una versione molto differente dalla rottamazione di edifici o quartieri urbani con numerosi appartamenti, inquilini, proprietari. Il criterio della sostenibilità ambientale va anch'esso analizzato per elementi al fine di non individuare obiettivi generici i quali diventano poco efficaci e concreti nella gestione fattiva. Il carico ambientale di CO2 attribuibile, in media, alle abitazioni (circa il 45%) e la partecipazione al consumo energetico appartengono, infatti, ad una categoria di sostenibilità che potrebbe trovare giovamento sia nella ricostruzione integrale sia in interventi di manutenzione straordinaria o recupero (es. sostituzione integrale dei serramenti; pannelli solari sulle coperture). Per quanto attiene l'impatto idraulico e, in generale, il peggioramento del rapporto tra brown e greenfield sono altri gli interventi richiesti, in particolare costruire sul costruito: il che accade, per esempio, nella città diffusa e con gli ampliamenti delle unità uni e bifamiliari, o, diversamente, nella ricostruzione con ampliamento di immobili turistici, sia hotel che residenze, dato che ciò avviene su lotti compromessi, in aree dense e con la possibilità di migliorare il rapporto coperto/scoperto.
Sul tema turistico, dato per acquisito che questa industria è tra le prime del Veneto e forse la prima nella nostra provincia (PTCP, Schema Direttore, 2007), vi è da fare senza dubbio una riflessione specifica all'interno del tema della rottamazione di edilizia produttiva (Scaramuzzi, 2009; Dalla Torre, Santoro e Scaramuzzi, 2007): sia che si tratti del patrimonio alberghiero (a Jesolo datato prima tra 1955 e 1972 nel 73% dei casi), sia di quello della cosiddetta area malva (che sfugge a qualunque rilevazione ufficiale e costituisce quasi un terzo dell'economia turistica italiana) che fa riferimento alle case dei turisti. Un bene, anche questo, piuttosto diffuso o per utilizzo personale o come investimento rifugio eventualmente da locare ad altri attraverso forme di economia domestica. Sono anch'esse espressione economica e sociale di quel benessere che ciascuno vuole mantenere e manutenere. Potrebbero persino rappresentare un sollievo dalla crisi, sia reale che percepito (risparmi non sfumati coi titoli tossici).
Sia per le abitazioni che per gli immobili non residenziali si evidenzia che premio di cubatura (o superficie di pavimento) se abbinato a rottamazione può entrare in un processo virtuoso che permette un ridisegno (gerarchico o strategico) dell'area metropolitana: non solo per lotti singoli della villettopoli, ma per conurbazioni, agglomerati casuali, ZTO semicostruite ma inerti (i cosiddetti capannoni vuoti). Per esempio è già riconosciuta da taluni Comuni veneti, che hanno determinato la copianificazione (tramite PATI) o tramite piani provinciali (PTCP), la possibilità di trasferire crediti edilizi da zone inerti, dismesse o insature verso zone più appetite/appetibili (anche rispetto a nuovi tracciati viari), con l'obiettivo di raggiungere massa critica (obiettivo importante per la PMI e gli artigiani), di generare effetto di cluster (obiettivo interessante per la logistica), di liberare territorio (obiettivo sociale e ambientale). Non sempre un aumento del costruito significa peggioramento del carico ambientale, del disastro paesaggistico, dello spreco edilizio. Se si utilizzano dei premi, essi devono premiare rispetto ad un obiettivo virtuoso comune, più che alle lusinghe del bene privato e singolo. La demolizione con spostamento non riguarda certo le singole famiglie proprietarie, i cui diritti non verrebbero in alcun modo limitati: che anzi potrebbero beneficiare (anche come rendita) di un paesaggio liberato da edifici obsoleti, impropri e inutili "fuori dalla porta del giardino".
In ogni caso è certo che costruire sul costruito sembra una ottima linea guida: aumentare la densità fondiaria potrebbe portare ad una migliore sostenibilità e ad un paesaggio probabilmente più cittadino, sicuramente più ordinato se si daranno alcuni criteri guida alla libertà individuale.
"Obiettivo della proposta è quello di favorire, qualificare e potenziare la progettazione integrata alla scala urbana attraverso il finanziamento di opere secondo criteri di ammissibilità, ponendo alla base della legge una dotazione finanziaria pari a 1 miliardo di euro (corrispondente allo 0,07% del PIL). L'idea progettuale è sostanzialmente basata sull'impianto del programma Urban, e in particolare di quello denominato Urban Italia, basato su fondi nazionali L. 388/2000, che costituisce dunque un esempio della possibilità di operare con fondi nazionali in un impianto di riferimento che rimane quello dell'acquis Urban, tenendo in considerazione proprio il buon esito delle azioni condotte nelle varie edizioni sul territorio italiano (a partire dal livello europeo Urban I e Urban II fino al livello nazionale Urban Italia) per finanziare la progettazione e la realizzazione delle opere proposte dai comuni, capoluogo e non e in particolare: tutti i capoluoghi di provincia italiani; le città non capoluogo ma al di sopra dei 50.000 abitanti." |
Si tratta di appena il doppio del promesso ma con una capacità di attivazione pari a 3 volte: un investimento e non una spesa. Esistono, anche in questo campo, modelli di stima delle convenienze economiche del pubblico che destina risorse e del privato che viene coinvolto.
Potrebbero rivelarsi preziosi nello studio che ci porterà - senza urgenza - al vero Piano Casa.