Chercher la femme

Contadina con vaso, G. Ceruti (attribuito)
Affresco di Villa Benzi S. Pietro di Strà (VE)

Cosa osserviamo

Una volta si sarebbe detto che era un punto di vista femminista, o forse "di genere": non so se oggi si usi ancora catalogare con queste etichette. Fatto sta che la presenza femminile nel mondo del lavoro e nella società non ha smesso di interessare la ricerca e, qua e là, si colgono punti di particolare attenzione: sia per i risultati proposti sia per le linee interpretative.
Mi riferisco a riflessioni sull'economia, del Nordest e della provincia Veneziana, sollecitate dalla presentazione di due "lavori": la collezione di dati distribuita dalla Camera di Commercio di Venezia, alla I Giornata dell'Economia, il 5 giugno scorso, e il IV rapporto sulla società e l'economia della Fondazione Nordest, presentato l'11 luglio a Palazzo (cfr. Cap. 12 Fondaco Venezia - Venezia è nel Nordest).

Diamo i numeri

Analizzando le statistiche provinciali la CCIAA sottolinea come Venezia appaia la meno femminilizzata nel Veneto, quanto a presenza nel mondo del lavoro: il tasso di occupazione è per le donne veneziane del 37% rispetto ad un 40% delle donne venete. Questa minor partecipazione al mercato di lavoro (o al lavoro di mercato, come dicevano le femministe) pesa sull'intera performance della provincia che risulta avere tassi di attività inferiori a quelli regionali e agli obiettivi di Lisbona (51% rispetto al 53% del Veneto, 56% di Vicenza).
Per contro la disoccupazione femminile è, in provincia, pari al 7% contro un 3% maschile e rispetto ad un 5% del Veneto: tuttavia le veneziane trovano più facilmente occupazione delle venete nelle classi di età più basse (tra 15-24 anni), con una disoccupazione del 7% rispetto al 10%.
Che sia perché molte donne, e ragazze, lavorano "in nero"? ma forse non più nella nostra provincia che nelle altre. Sarà che vi è un maggiore benessere e le donne possono dedicarsi al lavoro domestico o allo studio prolungato? Non sembrerebbe visto che Venezia non svetta come provincia per il proprio PIL e altri indicatori grezzi della ricchezza (in un Veneto eccellente). Forse è la cospicua presenza di lavoratrici nel turismo, caratterizzate da elevatissima stagionalità (nelle spiagge), frammentazione dei periodi e contratti di lavoro, intermittenza tra lavoro e studio?
E, a proposito di studio, l'Annuario della Provincia di Venezia - Edizione 2003 ci mostra che le donne studiano generalmente con maggiore successo dei maschi: è molto più bassa la percentuale di ripetenti (5% contro 12%) e di fuori corso universitari (42 invece che 50 su 100 iscritti). Il tasso di scolarizzazione femminile è dell'81% contro il 77.5% di quello maschile e nonostante siano assai più numerose le anziane che gli anziani (senza titolo di studio), le femmine stanno recuperando sensibilmente sui livelli di titolo di studio , rispetto ai maschi: al 2001 le laureate erano 25 mila contro 26 mila maschi, pari erano i laureati brevi (3 mila per sesso) e i dottorati (mille per sesso).
Sarebbe stimolante, dunque, una indagine "di genere": chercher la femme, anche se in senso diverso da quello della maliziosa frase francese, potrebbe aiutarci a scoprire caratteri distintivi della nostra provincia, a spiegarne l'anomalia.
Anomalia perché, a quanto ripete il Rapporto sul Nordest, questa regione si caratterizza sempre più per un'elevata partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Nonostante il modello, a suo tempo mitizzato, del Nordest sia arrivato ai limiti, oltre sé stesso e altro da sé stesso (secondo i suggestivi calembur di Daniele Marini), nonostante si sia chiuso un ciclo, si sia in presenza di una crescita declinante, nonostante tutto l'occupazione cresce continuamente, ma trova soprattutto nella componente femminile il vero esercito di riserva (Marini, op. cit. pag 17).
Analogamente a quanto accade sul piano nazionale si assiste ad una femminilizzazione del mercato del lavoro, segnatamente nel terziario (p.19): del resto le direzioni qualitative della crescita nordestina, dalla metà degli anni '90, hanno tracciato un solco ben preciso, basato sulla terziarizzazione, sulla progressiva erosione dell'occupazione indipendente e, appunto, sulla crescita di peso della componente femminile (Gambuzza e Rasera, ibidem, p.79).
Tra terziarizzazione e donne, si conferma un legame stretto: da un lato i lavori "adatti alle donne", come insegnamento, vendita, servizio ai piani e ai tavoli, cura della persona, salute, segretariato e front-office; dall'altro la presenza femminile nel lavoro retribuito, insieme alla diversa struttura familiare, genera una elevata domanda di servizi, ovvero ancora terziario.
E, dentro il Nordest, si conferma la posizione anomala della provincia Veneziana: dove il tasso di attività delle donne è solo del 39% rispetto al 41 del Veneto e al 44.5% del Trentino, al 46% di Vicenza e al 48% di Belluno, al 44% di Treviso. Una curiosità, però, viene da Padova, con tasso del 35%, la più bassa di tutte le province nordestine (e sappiamo che Padova è leader nei comparti del terziario). Un'altra stranezza del comportamento femminile che potrebbe farci comprendere peculiarità dei sistemi economici locali.
Un ultimo spunto viene da Bordignon che commenta il sondaggio Poster sulla percezione dello stress (p.107): il 36% dei nordestini si sente frequentemente sotto pressione, in particolare nelle fasce centrali di età e tra le donne, per le quali gli impegni lavorativi si sommano spesso a quelli legati alla cura della casa e dei figli. Tra i motivi di stress viene sottolineata l'insofferenza verso le ore trascorse al volante (e le arrabbiature per il traffico).
Qualche anno addietro mi aveva incuriosito uno studio fatto sul pendolarismo "di genere", ovvero sui viaggi quotidiani del tipo casa-lavoro intrapresi dalle donne (in Israele). In un'epoca nella quale si evocano improbabili scenari di homeworking diffuso e si potrebbe ritenere che le donne siano in prima fila nell'abbracciare questa "riunificazione" del loro "doppio lavoro" (quello di mercato e quello di cura o domestico), era molto interessante rilevare come, proprio loro, considerassero quasi positivo lo spostamento costretto e ripetuto, come unico momento "per sé", uno spazio privilegiato, di relazione, confidenza, ricreazione (se facevano il viaggio con colleghe ed amiche) o semplicemente solitudine (se non dovevano prestare attenzione ad altri).
Un modo "femminile" davvero controcorrente di volgere al positivo quello che viene descritto e studiato come un'odiosa corvèè e un costo individuale e collettivo troppo elevato e, appunto, stressante.
Prendendo a prestito una riflessione di Aris Accornero (Era il Secolo del Lavoro, Il Mulino1997) diremo che le donne hanno un loro modo di stare nel mondo del lavoro (di mercato) assolutamente specifico e probabilmente più flessibile di quello maschile, fisiologicamente flessibile, al di là di ogni ragionevole aspettativa.
Scrive Accornero […] il lavoro è […] meno maschile-rigido-esecutivo-performativo, e più femminile-fluido-cognitivo-relazionale (op. cit. pag.109). […] le donne sono più orientate all'esito, al risultato, alla performance, alla processualità, alla relazionalità, alla cura: sono il compimento. La loro attenzione è più coordinatrice e meno segmentata. Le donne sono più attente alla qualità, sia del prodotto che del servizio. Legano meglio la qualità del lavoro al risultato del lavoro. Colgono maggiormente l'utilità sociale dei lavori e quando ciò le riguarda ne sono così comprese che la consapevolezza di utilità fa loro sembrare migliore la qualità di quegli stessi lavori (pag.197). Negli studi che preparano la Conferenza Economica Provinciale CEP, voluta dall'Assessore alle Attività produttive della Provincia di Venezia, Giuseppe Scaboro, il COSES ha analizzato l'evoluzione del settore commerciale (dettaglio, ingrosso e ambulantato: insieme il Gruppo G del Censimento 2001), inclusi i dati sulla occupazione (addetti). Purtroppo l'elaborazione definitiva del Censimento Istat non consente (ad oggi) di cercare le femmine che lavorano nel commercio: e sono tante, come sappiamo e come vediamo ogni giorno semplicemente pagando alla cassa del supermercato.
Secondo l'Istat la media 2002 degli occupati in Veneto al commercio era di 181.000 unità, di cui 123.000 erano donne, pari al 68%: in provincia di Venezia su 36.000 occupati al commercio le donne erano 23.000, apri al 64%. Per avere un'idea della femminilizzazione in questo settore, diciamo che le percentuali nell'industria sono rispettivamente del 42% (Veneto) e del 34%.
Nella Sezione circoscrizionale del Lavoro di Venezia (Scica, 1997) nelle top ten di avviamento al lavoro le commesse risultavano all'ottavo posto dopo le mansioni strettamente turistiche, come camerieri/e ai piani e commis di sala: il tasso di femminilizzazione dei quasi 800 avviamenti era del 74%, il più elevato insieme agli/alle addetti/e alle pulizie (dodicesimo posto, con un 75% di donne) e agli/alle ausiliari/e di vendita (ventitreesimo posto col 68%), dopo i/le camerieri/e ai piani che sono per il 98.5% donne.
Se cerchiamo le donne finiremo per trovare nel commercio e nel turismo, uno scenario "di genere"!
Ma, se chi vende è femmina e chi acquista pure - ovvero sono ancora principalmente le donne ad occuparsi degli acquisti domestici ricorrenti (solo il 19% delle famiglie a Venezia ha un uomo che "fa la spesa") - (Pedenzini e Scaramuzzi, Foto di famiglia in un interno commerciale, in Microfisica della Cittadinanza a cura di Belloni e Bimbi, Franco Angeli 1997, pag.192) (cfr. Fondaco Commercio), ci sono anche le "madri povere" di cui parla l'Università di Birmingham, in uno studio controcorrente che suggerisce una linea di intervento sul welfare diversa dalla welfare-to-work reform del Regno Unito e degli USA (il benessere sociale fondato sul lavoro anziché sui sussidi di disoccupazione). Haylette e Class propongono un welfare basato, appunto, sul right to care, il diritto ad un lavoro affettivo o caring work, per esempio nel caso delle "madri povere" (Haylett C. Class, Care and Welfare reform: reading meanings, talking feelings in Environment and Planning vol. 35/2003).
Ed ecco che la visione dei lavori "adatti ad una donna", i part-time, gli stagionali, gli intermittenti può mettere in ombra altre "vocazioni" tipicamente femminili, relative al ruolo "di cura". In altre parole può essere che, in questa fase dello sviluppo, sia la società (il mercato) ad avere particolarmente bisogno del lavoro femminile (o adatto a una donna) - l'esercito di riserva di cui parla Daniele Marini - mentre alcune fasce di donne sceglierebbero il diritto a non lavorare (nel mercato).
Insomma, cercando le donne possiamo scoprire molti lati interessanti e insoliti che ci aiutano a capire il complesso del mondo del lavoro e della società.
È un invito a quanti si accingono a spaccare in quattro il capello dei dati Censuari (forse definitivi tra la fine del 2003 e il 2004) e anche a coloro che monitorano le Fonti correnti, ormai numerose e generose: Forze di Lavoro Trimestrali, Cpi provinciali, Stock View di Infocamere, Anagrafi, INPS e via dicendo.

 

Isabella Scaramuzzi, 14/07/2003

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