L'impronta del COSES e la ricerca per l'amministrazione
di Isabella Scaramuzzi, Direttore COSES
Lavoro pubblico: etica e funzione
Presentata questa impronta digitale, che ognuno legga come crede, vengo alla mie domande sul tema generale del lavoro e della funzione pubblica.
Che chi percepisce stipendio debba lavorare è, per me, tautologico.
La prima domanda è: quale lavoro deve fare, o, meglio, sono tutti utili i lavori della funzione pubblica? Vale a dire che un direttore, come me, di un piccolo nucleo di attività pubblica ha solo il dovere di controllare che i suoi rematori stiano ai posti e muovano il remo, o ha anche il compito di domandarsi dove deve dirigere la barca? Fuori di metafora, perché mettere in campo una etica del lavoro senza legarla ad una funzione?
La seconda domanda, quindi, è: chi e come verifica quali siano le funzioni pubbliche utili? E utili a molti poiché pubbliche? E gli utilizzatori devono essere solo i cittadini, cosiddetti utenti finali, o anche i clienti intermedi, ovvero altre parti di sistema pubblico? Questa domanda è molto più complessa della prima perché deve fare i conti (non solo metaforicamente) con la storia della funzione pubblica italiana: l'ipertrofia che ha risposto a variegate utilità del Paese. Quella di dare occupazione e reddito a molti italiani e italiane (che forse non sarebbero stati assorbiti dalla funzione privata e avrebbero costituito un problema sociale), quella di avere un bacino elettorale fedele, quella di sostenere le attività più strettamente politiche sotto la specie amministrativa, quella di scavare le buche per riempirle come si diceva per i grandi lavori pubblici volano dell'economia-paese, quella di sostenere interi settori industriali in fasi particolari di crescita o decrescita. Siamo, oggi, in grado di risolvere l'economia del Paese senza questo buffer della funzione pubblica?Un grande investimento sulle persone
E, se avremo, come ci aspettiamo, un piano di maggiore utilità delle grandi risorse pubbliche, in specie quelle umane, occorrerà oltre ad un'etica del lavoro anche un grande progetto di riorganizzazione delle funzioni: non solo spostare le persone dove sono più utili, abolendo lavori socialmente inutili - le pletore della burocrazia, per dirla velocemente, o le iterazioni infinite di competenze - ma mettere in grado quelle persone di svolgere mansioni diverse, magari molto diverse (dall'archivio del protocollo alla assistenza agli anziani o alla vigilanza urbana) e magari legate a tecnologie nuove e in continuo cambiamento. Impiegare i lavoratori più utilmente comporterà, nel breve periodo, costi di formazione, adattamento, aggiornamento.
Nel medio periodo, con i pensionamenti (se ci potranno essere) e con la riduzione di alcune classi demografiche (meno giovani sul mercato del lavoro) forse verranno facilitati il ricambio, una fisiologica riduzione e una iniezione generazionale di capacità, attitudini e volontà rinnovate. Resta da decidere per far funzionare che cosa. L'anagrafe, la pianificazione, gli autobus, le case di riposo, i vigili urbani, la protezione civile, i parchi, i tribunali, l'erogazione di fondi, il rilascio di autorizzazioni, gli asili, le università, la polizia?
Cosa deve rimanere assolutamente funzione pubblica e quali lavoratori potrebbero essere privatizzati e quale impresa privata li pagherà, perché ne ha bisogno e perché servono ad un Paese civile, efficace e competitivo?
La ricerca per le amministrazioni
Chiudo, tornando da dove sono partita: con la minuscola parte di funzione pubblica che è la ricerca finalizzata alla amministrazione, il mestiere del COSES. È utile, secondo la frase di Luigi Einaudi, conoscere per governare?
Se dovessimo giudicare dal ritmo delle richieste che al COSES arrivano quotidianamente dai suoi Soci, Comune e Provincia, dovremmo dire che serve, eccome. Possiamo anche dire che la definizione un po' deprimente di ricerche da mettere nel cassetto, non è più così vera: negli ultimi anni le amministrazioni chiedono informazioni ed idee a tempo di record, valutazione di possibili politiche e stime degli effetti oggi per ieri, in modo da poter intervenire con azioni immediatamente efficaci sulle emergenze. Il supporto della ricerca è radicalmente cambiato e disporre di un magazzino di conoscenze e di osservazioni metodiche diventa indispensabile. Non sempre le cospicue banche dati dentro le amministrazioni sono utilizzate appieno e vi è soprattutto grande vischiosità rispetto al loro coordinamento, in termini di lettura e capacità interpretativa. Diciamo che al COSES viene chiesto di funzionare come un mobile device, innestato alla porta USB della macchina centrale.
Può questa funzione essere del tutto assorbita dalle amministrazioni? Funzionerebbe meglio se fosse delegata alle Università? È ragionevole che le Fondazioni private investano in questa speciale branca della cultura? Meglio che sia il mercato a fornire questo servizio al sistema pubblico, con il ribasso dei prezzi dovuto alla concorrenza?
Mi permetto di pensare che il nostro Ministro (già presidente del COSES), con la sua straordinaria esperienza di ricerca pubblica, abbia idee sull'argomento.
Infine: perché i dirigenti pubblici, che hanno potuto accumulare competenza ed esperienza, non vengono chiamati a render conto dell'investimento che il Paese ha fatto su di loro, attraverso progetti di riorganizzazione delle funzioni, criteri per la valutazione dei diversi servizi (oggettivamente controllabili da terzi), proposte su ciò che il pubblico deve fare o lasciar perdere?
Potrebbe essere un compito molto più difficile, ma anche più efficace, che metterli a fustigare chi rema, ottenendo che la barca giri con più efficienza, ma attorno ad una bricola.Isabella Scaramuzzi, giugno 2008 - Doc. COSES n. 1004