Ad accelerare il fenomeno dell'invecchiamento contribuisce da una parte il miglioramento delle condizioni sanitarie, con conseguente allungamento della vita media (ben venga, purché gli anni guadagnati possano essere goduti e non sofferti), dall'altra la crisi di natalità, solo mitigata dagli effetti a lunga scadenza del "baby boom".
In questi giorni (per non dire in questi decenni) è quanto mai acceso il dibattito sulla politica pensionistica, rendendosi sempre più necessario trovare il giusto equilibrio fra il diritto ad andare in pensione prima di essere decrepiti ed il dovere per gli enti pensionistici di recepire le risorse necessarie per far fronte agli impegni assunti: è chiaro che un aumento troppo rapido del numero dei pensionati, accompagnato da un aumento progressivo degli anni di vita restanti e da un numero invece calante delle forze di lavoro paganti i contributi può far rapidamente scoppiare il sistema, se non si trovano con urgenza adeguati rimedi.
Ma le conseguenze dell'invecchiamento non si limitano al problema delle pensioni: gli anziani, specialmente quando diventano non autosufficienti, necessitano di particolare assistenza sociale e sanitaria. Gran parte dell'assistenza finora era fornita dalle famiglie, essendo numerosi i figli e nipoti in grado di fornirla, ma dopo il calo delle nascite le famiglie non sono più abbastanza numerose da consentire i "turni" di assistenza agli anziani. Sempre più spesso, poi, le famiglie stesse vanno in crisi e si disgregano o, comunque, non sono in grado di fornire assistenza adeguata. In molti casi, e sempre di più, gli anziani vivono da soli. Bisogna quindi potenziare l'assistenza pubblica, istituzionale o dove possibile domiciliare, pur tenendo conto che in un futuro non lontano ci saranno più anziani da assistere che giovani in grado di svolgere questo compito.
Può la tendenza all'invecchiamento demografico essere contrastata, magari fino all'inversione? E' molto difficile, ma qualcosa può essere fatto. A parte la possibile (ma da non programmare) riduzione della speranza di vita per il collasso delle strutture sanitarie, cui accenna il Prof. Massimo Livi Bacci in una recente intervista sul Corriere della Sera, a parte anche la terribile ipotesi di introdurre l'eutanasia, magari solo passiva (non uccidere, ma lasciar morire) ipotizzata anche dal Prof. Antonio Golini ad un congresso di gerontologi e geriatri, per contrastare in modo positivo l'invecchiamento bisognerebbe incrementare il numero dei giovani, riportando la struttura della popolazione alla tradizionale forma "a piramide". Le strade per ottenere questo obiettivo sono due: aumentare la natalità e favorire l'immigrazione.
Per aumentare la natalità occorrono due fattori: le donne in età riproduttiva e le condizioni per affrontare la maternità. Attualmente le donne in età riproduttiva (fra 20 e 40 anni) sono più di otto milioni in Italia, più di 650.000 nel Veneto, quindi più numerose di quelle che c'erano nel 1981, ma le prospettive non sono rosee: infatti, mentre nel 1981 c'erano in Italia più di otto milioni di bambine e ragazze in età 0-20 in grado di sostituire dopo 20 anni la classe 20-40, meno numerosa, attualmente in età 0-20 troviamo in Italia meno di 5,5 milioni di bambine e ragazze, nel Veneto poco più di 400.000. Fra 20 anni, quindi, in ipotesi di assenza di migrazioni e di mortalità giovanile, le donne in grado di partorire saranno per forza diminuite di circa il 40%. Per mantenere semplicemente l'attuale livello (che non è certo alto) bisognerebbe quindi far entrare in Italia, nei prossimi 20 anni, circa tre milioni di bambine e ragazze attualmente in età 0-20. Nel Veneto ce ne vorrebbero circa 250.000, di cui 50.000 nella provincia di Venezia (circa 15.000 nel capoluogo). Naturalmente non basta che ci sia un sufficiente numero di giovani donne, ma è anche necessario che partoriscano, e qui bisogna dire che l'attuale tasso di fecondità italiano è fra i più bassi di tutto il mondo, se non il più basso. Perché una popolazione mantenga il proprio volume sarebbe necessario che ogni coppia generasse più di due figli (mediamente 2,2), per pareggiare anche chi non è in coppia, chi non può avere figli e una certa dose di mortalità), ma dal 1977 il TFT italiano è inferiore a 2 figli per donna, scendendo nel 1995 addirittura sotto il livello 1,2 per poi risalire leggermente negli ultimi anni, con tendenza verso il livello di 1,5. Il TFT veneto è ancora più basso, e dal 1993 al 1995 è rimasto addirittura sotto 1,1, livello che tenderebbe a dimezzare la popolazione della generazione successiva. Ma come si può convincere ogni donna a generare almeno due figli? Non è facile, ma almeno ci vorrebbero aiuti economici non ridicoli e strutture sociali efficienti e gratuite in grado di aiutare i genitori nel loro difficile e costoso compito, difendendoli anche da chi specula sull'amore per i figli gonfiando i prezzi di tutti i prodotti ed i servizi per l'infanzia.
Se incrementare la natalità è una impresa ardua, meno difficile è contrastare l'invecchiamento della popolazione favorendo l'immigrazione. Non mancano certo i giovani che premono alle frontiere per entrare, il problema è (a parte l'esecrabile xenofobia razzista di parte della popolazione) controllare i flussi per dare via libera agli immigrati di buona volontà, disposti a lavorare rispettando le leggi ed usanze italiane, impedendo l'accesso o rinviando a casa coloro che vogliono venire per delinquere o per imporre comportamenti non consoni alle leggi e tradizioni del nostro paese. Dopo aver scelto di non fare abbastanza figli per continuare ad essere una popolazione viva dobbiamo scegliere fra l'alternativa di diventare una popolazione multietnica o l'alternativa di diventare una popolazione di soli vecchi, incapace di riprodursi ed anche di badare a se stessa.