OSIV - Immigrati e bisogni abitativi
i termini della questione
Cosa indaghiamo
1. Introduzione
Da quando l'immigrazione ha assunto una certa consistenza nel nostro
paese l'attenzione si è rivolta allo studio della dimensione del contingente e
della sua distribuzione territoriale, ma i due temi sui quali si è più dibattuto
sono l'inserimento lavorativo e il problema casa.
Sul primo, seppure con le notevoli difficoltà dovute all'utilizzo delle fonti
amministrative, si è raggiunta una certa conoscenza almeno per quanto
riguarda gli aspetti più di rilievo (dimensioni e caratteristiche
dell'inserimento). Sul secondo a tutt'oggi si naviga nel buio, al di là della
consapevolezza che esiste una difficoltà oggettiva per gli immigrati di
trovare casa, non sappiamo quanto pesi in realtà il problema. La non
conoscenza dipende sia dall'inesistenza di fonti esaustive che misurino la
precarietà o la domanda non soddisfatta, che dalla pressoché inaccessibilità
ad alcune fonti (es. la fonte delle denunce di nuovi proprietari/affittuari).
Le indagini dal lato della domanda (interviste ad immigrati) e le rilevazione,
condotte tra notevoli difficoltà, rivolte ai comuni e alle Ater, hanno -come
vedremo- fornito alcuni elementi di conoscenza, mai comunque tali da
permettere una misurabilità soddisfacente dei fenomeni.
In questo notiziario Osiv si cercherà di mettere in fila alcune delle
conoscenze disponibili (certe maturate in studi precedenti) sulla questione
abitativa in provincia di Venezia. L'intento è delineare con maggiore
chiarezza i confini e i termini in cui si pone la questione.
L'analisi si sviluppa nei seguenti punti:
- parte dalla presentazione della consistenza del patrimonio abitativo e
dalle dinamiche di trend che lo hanno interessato (par.2);
- accenna, per ragioni di completezza, alla relazione tra povertà e disagio
abitativo (par.3);
- entra nel core della questione cercando di rispondere alla domanda
perché esiste un problema casa degli immigrati diverso da quello più
generale che interessa componenti importanti della popolazione nativa
(par.4);
- offre una stima del peso della precarietà abitativa estrema (par.4);
- descrive l'insediamento territoriale degli immigrati nei comuni della
provincia (par.5);
- propone un metodo per valutare il fabbisogno incrementale annuale di
ospitalità nel territorio provinciale (par.6);
- osserva il contributo del pubblico e del terzo settore nell'offrire soluzioni
abitative (par.7);
Diamo i numeri
2. Patrimonio abitativo in provincia di Venezia
Un primo aspetto da cui partire riguarda la consistenza del patrimonio
abitativo in provincia di Venezia. Sono stati censite circa 310 mila abitazioni
in provincia (tab.1) pari al 18% del totale regionale. Il 76% sono abitazioni
di proprietà, quota uguale a quella regionale, ma che si distingue dal dato
nazionale (71%). Il restante 24% si distribuisce tra un 17% in affitto e un
residuo 6% in uso gratuito o in comodato d'uso.
Tab. 1 Abitazioni per titolo di godimento
| Proprietà | Affitto | Altro | Totale |
Provincia di Venezia | 76% | 17% | 6% | 100% | 309.695 |
Regione Veneto | 76% | 17% | 7% | 100% | 1.699.521 |
Italia | 71% | 20% | 9% | 100% | 21.653.288 |
Fonte: elaborazioni Coses su dati Istat - Censimento 2001
La quasi totalità delle abitazioni (92%) è di proprietà privata (tab. 2), una
percentuale comunque più bassa di quanto registrato a livello regionale e
nazionale dove la quota sale rispettivamente al 95% e al 94%. Dal raffronto
con le tre realtà geografiche appare quindi una maggiore consistenza
relativa del patrimonio abitativo pubblico nel veneziano.
Tab. 2 Abitazioni per proprietà
| Privata | Pubblica | Altro | Totale |
Provincia di Venezia | 92% | 6% | 1% | 100% | 309.695 |
Regione Veneto | 95% | 4% | 1% | 100% | 1.699.521 |
Italia | 94% | 5% | 1% | 100% | 21.653.288 |
Fonte: elaborazioni Coses su dati Istat - Censimento 2001
Lo scorso decennio (1991-2001) è stato interessato da un aumento del
numero di abitazioni e da un lieve calo del rapporto tra abitazioni non
occupate e totale abitazioni. La popolazione però è diminuita per un netto
calo della componente nativa non compensato dal notevole incremento del
segmento immigrato. Gli andamenti discordanti tra popolazione totale e
patrimonio abitativo possono essere giustificati da un incremento del
numero dei nuclei familiari (aumento domanda).
In sintesi i numeri del cambiamento dell'ultimo decennio sono:
- la popolazione residente totale decresce dell'1% (da 820.052 a
809.586);
- la popolazione residente italiana cala del 3% (da 817.246 a 794.410);
- quella immigrata aumenta del 441% (da 2.806 a 15.176);
- il patrimonio abitativo cresce dell'11% (da 353.124 a 390.346);
- il peso del non occupato sul totale del patrimonio cala dell'1%, c'è
quindi mediamente un maggiore utilizzo del patrimonio esistente;
- gli altri tipi di alloggio diversi da abitazione (roulotte, tende, garage, etc.)
crescono (da 105 a 344).
A prescindere dagli andamenti della popolazione, il patrimonio abitativo è
cresciuto in tutti i comuni (fig.1) e soprattutto nei comuni di confine in
primis Meolo, Quarto d'Altino, Fossò e Santa Maria di Sala che registrano
aumenti superiori al 30%; Vigonovo, Fiesso, Noale, Scorzè e Marcon, con
variazioni dal 21-30% a cui si aggiungono, per incrementi analoghi, Musile,
Eraclea, Torre di Mosto e Pramaggiore.
Nel periodo intercensuario in tutti questi comuni, ad eccezione di Fiesso, è
anche aumentata la popolazione (fig.2). Dalla figura si nota un legame tra
l'incremento del patrimonio abitativo e quello della popolazione:
l'incremento è più debole nei comuni in cui la popolazione aumenta di meno
o addirittura diminuisce.
Come si è detto il peso del non occupato diminuisce e questo accade nella
maggioranza dei comuni (fig.3), ma si registrano pure aumenti di peso:
inferiori al 2% in comuni come Eraclea, Fossalta di Portogruaro, Cinto,
Ceggia, Musile, Scorzè, Martellago e Mira; in altri centri, Vigonovo, Fossò e
Cavarzere, l'incremento del peso è stato tra il 2 e il 4%; infine, le variazioni
positive più grandi (più del 4%) si registrano a Fiesso e Quarto d'Altino. Dal
confronto tra la figura 1 e la 3 si evidenzia che l'aumento del peso del non
occupato riguarda comuni che hanno accresciuto anche di molto il
patrimonio abitativo (l'esempio più significativo è rappresentato da Quarto
d'Altino): è probabile si tratti di nuove costruzioni non ancora occupate alla
data del censimento. Diverso è invece il caso di comuni come Cavarzere
dove l'aumento del non occupato si accompagna ad una debole crescita del
numero delle abitazioni e al calo della popolazione italiana non compensata
dall'incremento degli immigrati residenti.
Fig. 1 Patrimonio abitativo. Variazioni % 2001-1991
Fonte: elaborazioni Coses su dati Istat – Censimenti 1991 e 2001
Fig. 2 Variazioni % 2001-1991 per popolazione totale e patrimonio abitativo
Fonte: elaborazioni Coses su dati Istat - Censimenti 1991 e 2001
Fig. 3 Abitazioni non occupate sul totale delle abitazioni. Differenza pesi 2001-1991
Fonte: elaborazioni Coses su dati Istat - Censimenti 1991 e 2001
3. Povertà e disagio abitativo
Un altro nodo che prendiamo in considerazione in questo excursus sulla
questione abitativa riguarda il legame tra povertà economica e disagio
abitativo. La presenza di buone condizioni reddituali e di ricchezza
difficilmente si accompagnano a situazioni di disagio abitativo. Inoltre,
"esiste una forte correlazione tra livello di reddito e proprietà dell'abitazione,
le famiglie che appartengono al quintile più basso nella distribuzione del
reddito pagano l'affitto nella proporzione del 36% e solo nel 52% dei casi
vivono in una casa che è loro. Tali valori sono invece pari rispettivamente al
7% ed all'86% per il quintile più alto" (Commissione di indagine
sull'esclusione sociale, 2003). Sul 36% delle famiglie appartenenti al
quintile più basso gravano anche le forti tensioni del mercato degli affitti.
Si fa osservare che il disagio abitativo è uno degli indicatori considerati per
la prima volta dall'Istat nell'indagine riguardante gli studi sulla povertà e
l'esclusione sociale a livello regionale (Istat, 2003).
Le variabili da considerare per guardare al disagio abitativo sono attinenti
all'abitazione (luminosità, infiltrazioni d'acqua, dotazione di alcuni servizi di
base, etc.), dati censuari non ancora del tutto disponibili e che, quando lo
saranno, permetteranno un'analisi a livello comunale. Risulta invece al
momento noto un dato censuario al quale si deve prestare una certa
attenzione perché rappresenta un segnale di difficoltà presente nelle nostre
comunità. Nel decennio passato in provincia di Venezia sono aumentate le
soluzioni abitative precarie (garage, roulotte, tende, soffitte, etc.) da 105 a
344, al 2001 esse rappresentavano il 19% del totale degli alloggi precari
censiti in regione (1.854) contro il 12% registrato nel 1991. Infatti,
l'incremento di questi tipo di alloggi nel veneziano è stato del 228%, mentre
nella media regionale è stato del 117%. Ben il 56% degli alloggi precari
sono censiti nel comune di Venezia (fig.4), gli altri comuni che sembrano
maggiormente interessati dalla presenza di questa tipologia di soluzione
abitativa sono: Jesolo, Fossalta di Piave, Portogruaro, San Donà di Piave
appartenenti all'area orientale della provincia, Spinea e Scorzè della zona
centrale.
Che in provincia ci sia un aumento delle famiglie povere o che comunque
sono in difficoltà nel sostenere i costi dell'abitazione è testimoniato anche
dalla crescita delle domande di contributo per l'affitto: da 2.656 domande
nel 2000 a 3.310 nel 2001 (Coses, 2003).
Fig. 4 Distribuzione territoriale degli alloggi diversi da abitazione
Fonte: elaborazioni Coses su dati Istat - Censimenti 1991 e 2001
4. Esiste e perché un problema casa per gli
immigrati?
Aumentano le situazioni delle famiglie che chiedono contributi per sostenere
i costi delle locazioni, aumentano gli sfratti (204 nel 1999, 665 nel 2001),
calano invece gli alloggi pubblici dell'Ater: da 16.787 nel 1999 a 10.103
nel 2002 a circa 5.000 nel 2003 (Coses, 2003). Questi dati confermano
che esiste un "problema casa" per una parte della popolazione residente. Il
"problema casa" degli immigrati si inserisce in questo contesto e presenta
peculiarità tali da giustificare, a parità di condizioni con la popolazione
nativa, interventi diversificati e aggiuntivi per risolvere il problema.
Prima di tutto va precisato che la domanda di alloggio proveniente da una
parte dell'immigrazione è una domanda fluttuante segue cioè l'andamento
dei flussi immigratori previsti per gli stagionali. Si tratta di immigrazioni
temporanee che richiedono tipologie abitative diverse da quelle richieste da
una domanda standard che proviene da un nucleo familiare nativo od
immigrato che sia.
In secondo luogo la mobilità nel territorio risulta molto elevata per gli
immigrati; infatti nel 2002 su 39.057 cittadini stranieri iscritti nei comuni
del Veneto si è contato circa il 45% (17.467) di trasferimenti di residenza
interni (intra-provinciali, da province della stessa regione e da province di
altre regioni) (Istat, 2004).
Vi è poi da considerare che l'inserimento negli spazi urbani a volte crea
problemi non solo con la comunità nativa, ma anche con le comunità
straniere di nazionalità diversa già insediate.
Variabilità della domanda, elevata mobilità, compresenza di nazionalità
diverse rappresentano elementi aggiuntivi che si inseriscono nel "problema
casa" per gli immigrati.
Ma, forse, ciò che incide maggiormente sull'esistenza del problema è dato
dal fattore discriminazione. Alle difficoltà che incontrano alcune fasce di
popolazione italiana nel trovare abitazioni a prezzi accessibili, si aggiungono
differenze culturali, stereotipi vari, magari pure rafforzati da alcune
esperienze negative. Gli esiti di un'indagine condotta a Torino mettono bene
in luce il fenomeno (Comitato Oltre il razzismo, 2000). L'indagine è stata
così condotta, si sono scelte le inserzioni sui giornali che offrivano abitazioni
in affitto. Su 126 chiamate fatte da stranieri nel 71% ci sono state risposte
negative (le rispose erano: "non si affitta a stranieri", "l'alloggio è già stato
affittato", "non possiede i requisiti necessari", etc.), solo il 29% sono state
positive (l'alloggio era disponibile e lo straniero è riuscito a fissare un
appuntamento per andarlo a vedere). Nel 71% dei casi negativi alla
successiva telefonata fatta dall'italiano la casa era disponibile.
Viviamo cioè con un'enorme contraddizione: affidiamo agli immigrati la cura
dei nostri famigliari, ma li consideriamo inaffidabili e con costumi (troppo?
ndr) diversi dai nostri (AA.VV. Con-vivere la città, 2003).
Se il contesto entro il quale si muovono gli immigrati nel cercare casa è così
difficile, quali sono le soluzioni abitative alle quali essi approdano? Per
rispondere a questa domanda si deve ricorrere ai risultati di indagini
condotte in Veneto e in altri contesti italiani che illustrano la distribuzione
degli immigrati in relazione alle diverse soluzioni abitative. La ragione di
questa analisi risiede nel voler sottoporre all'attenzione del lettore i pesi
delle differenti soluzioni abitative così da avere un quadro di riferimento su
cui ragionare in termini di precarietà abitativa.
A questo proposito si riportano gli esiti di una recente indagine condotta dal
Coses (Coses, 2001 - Sono stati intervistati 150 immigrati arrivati in Italia dopo il 1995) nell'area vicentina.
Tab. 3 Condizione abitativa degli immigrati da esiti di indagini
| Indagine Coses 2001 | Indagine Ismu 2003 |
All'arrivo Dopo 5 anni |
In affitto | 35% | 62% | 69% |
In proprietà | 4% | 9% | 11% |
Soluzioni instabili | 53% | 24% | 19% |
- ospiti | 49% | 17% | 15% |
- albergo | 1,3% | 0,7% | 1% |
- centro accoglienza | 3% | 6% | 3% |
Soluzioni precarie | 7% | 5% | 2% |
Totale | 100% | 100% | 100% |
Fonte: Coses (150 casi) e Ismu (8.000 casi)
Da un confronto con i risultati della medesima indagine condotta da altri
istituti di ricerca nelle regioni del cordone Adriatico (Carchedi e Gesano,
2001), emerge che non esistono differenze molto significative tra regioni
che presentano caratteristiche dell'immigrazione simili. Pertanto si ritiene
che gli esiti dello studio che verranno qui riassunti possano essere estesi
anche ad altri ambiti territoriali. Dall'indagine Coses sono emersi i seguenti
principali elementi:
- dal momento dell'arrivo in Italia al momento in cui si è svolta l'indagine
aumentano le soluzioni abitative stabili (la soluzione in affitto soddisfaceva il
35% degli immigrati al momento dell'arrivo e il 62% dopo 5 anni di
permanenza nel nostro Paese; l'alloggio in case di proprietà passa dal 4% al
9%), decrescono le soluzioni instabili (gli ospiti presso amici e parenti o
presso il datore di lavoro passano dal 49% al 17%; l'alloggio in albergo
dall'1,3% allo 0,7%), anche se sembra aumentare l'ospitalità presso centri
di accoglienza (da 3% al 6%). Le soluzioni più precarie (senza tetto ad
esempio) riguardano all'incirca il 5% degli intervistati dopo 5 anni dal loro
arrivo;
- il 50% degli immigrati vive con la propria famiglia e il 25% con altri
connazionali, il restante 25% si distribuisce in convivenze multietniche
(12%) e in convivenze singole (13%);
- il 77% degli immigrati che abitano in famiglia risiede in alloggi in affitto,
il 16% in case di proprietà;
- le case affittate agli immigrati sono spesso in condizioni manutentive
non buone quindi fuori mercato per le famiglie italiane, in numerosi casi
sono prive di impianti di riscaldamento (sostituiti da stufe);
- i canoni di affitto sono elevati, solo il 13% degli immigrati dichiara un
costo dell'affitto pro-capite inferiore alle 200mila lire;
- del 62% degli immigrati che vivono in alloggi in affitto, il 58% si è
procurato l'abitazione direttamente, il 2% tramite il comune e il restante 2%
tramite cooperativa.
Una più recente indagine svolta in Lombardia (Blangiardo, 2004, pag. 105)
evidenzia analoghi risultati a quelli emersi in Veneto: l'11% alloggia in case
di proprietà, il 69% in affitto, il 13% è ospite da amici, conoscenti o del
datore di lavoro, solo il 2% riguarda le condizioni più precarie (occupazione
abusiva, baracche, senza fissa dimora) (tab.3).
I risultati di questi studi consentono di abbozzare alcune indicazioni in
merito alla condizione abitativa degli immigrati. La precarietà abitativa
(senza tetto, alloggio in albergo o in strutture di accoglienza) dovrebbe
riguardare - nelle regioni del nord caratterizzate da un elevato inserimento
lavorativo degli immigrati - una quota dal 6 al 10% circa della popolazione
immigrata. In provincia di Venezia con i dati dei permessi al 2003 (30.260),
la precarietà dovrebbe interessare dai 2.000 ai 3.000 immigrati. La
maggioranza, invece, alloggia in case in affitto (con la famiglia o con altri
immigrati) o in case di proprietà o viene ospitata da amici.
In conclusione la condizione abitativa dell'immigrato varia con il percorso
migratorio nel Paese di arrivo: se all'arrivo sono le sistemazioni precarie
quelle che hanno più peso, con il procedere del progetto di stabilizzazione
sono le soluzioni più stabili ad avere il sopravvento. Ma numerosi sono
ancora gli immigrati che stimiamo essere alla ricerca di un alloggio.
5. Immigrati nelle aree veneziane
Il fabbisogno di abitazioni per gli immigrati è correlato con la loro
distribuzione territoriale. Al momento non sono disponibili dati aggiornati
sugli stranieri residenti nei comuni (il notiziario si è chiuso a febbraio 2005).
Gli ultimi risalgono al censimento 2001 (rilevazione del 21 ottobre) con
15.176 immigrati residenti.
Fig. 5 Popolazione straniera per comune di residenza
Fonte: Elaborazioni Coses su dati Istat - Censimento 2001
I comuni in cui al censimento la presenza era più concentrata risultano:
Venezia e i comuni adiacenti, Scorzè, Spinea, Mirano, Mira, e i comuni
dell'area orientale, San Donà, Jesolo, Carole e Portogruaro (si veda anche
tab.16 in Notiziario Osiv n.1).
La regolarizzazione del 2002 che ha contribuito all'incremento di circa il
50% della presenza in provincia (8.871 regolarizzati, 16.766 permessi alla
fine del 2002 e 30.260 risultanti alla fine del 2003), ha rafforzato la
presenza nell'area centrale (Cpi di Venezia) dove erano dimoranti circa il
48% dei regolarizzati per lavoro. Su questo dato incide la regolarizzazione
delle assistenti familiari e dei domestici (53% in provincia sul totale dei
regolarizzati) solitamente ospiti dei datori di lavoro. Pur tenendo conto di
ciò, la domanda di abitazioni per immigrati dovrebbe essere assai elevata nel
comune capoluogo dove storicamente si concentra la maggiore presenza di
immigrati e dove il mercato immobiliare residenziale presenta molte tensioni
sia per la discrepanza, quantitativa e qualitativa, tra domanda e offerta che
per i livelli dei prezzi di quest'ultima.
Tab. 4 La localizzazione dei regolarizzati
Centri per impiego | Residenti al 2001 | Regolarizzati per lavoro | Incidenza |
v.a. | % | v.a. | % | % |
Venezia | 6.116 | 40,3 | 3.757 | 48,4 | 61% |
Portogruaro | 1.904 | 12,5 | 669 | 8,6 | 35% |
San Donà di Piave | 2.898 | 19,1 | 1.102 | 14,2 | 38% |
Chioggia | 541 | 3,6 | 388 | 5,0 | 72% |
Mirano | 1.970 | 13,0 | 937 | 12,1 | 48% |
Dolo | 1.747 | 11,5 | 909 | 11,7 | 52% |
Sub totale | 15.176 | 100,0 | 7.762 | 100,0 | 51% |
Fuori provincia | - | - | 129 | - | - |
Dati mancanti | - | - | 61 | - | - |
Regolarizzati per ricerca lavoro | - | - | 919 | - | - |
Totale | - | - | 8.871 | - | - |
Fonte: elaborazioni Coses su dati Istat Censimento 2001 e su dati Prefettura (febbraio 2004)
6. Elementi per una stima del fabbisogno abitativo
per la componente immigrata
Gli elementi finora introdotti hanno cercato di tracciare i confini del
"problema casa" per gli immigrati, non hanno risposto invece alla domanda
in quali termini è possibile stimare i fabbisogni abitativi o meglio di quali
parametri e conoscenze occorre tener conto in un'ipotesi di stima.
È una domanda che intriga perché la risposta non è facile, in essa si
inseriscono valutazioni qualitative e quantitative; ma intriga anche perché
essa si lega ad un'altra domanda con una valenza ancora più vasta: qual è
la capacità di tenuta delle nostre realtà in presenza di richieste che
concorrono con quelle degli italiani nell'accesso ad una risorsa scarsa?
Per i fabbisogni di manodopera la risposta è già più facile, l'indagine
Excelsior e le richieste di autorizzazione che pervengono alle Direzioni
provinciali del lavoro aiutano in tal senso, mentre non risultano esserci
indagini in Italia sul fabbisogno abitativo.
Per una stima del fabbisogno annuale sarebbe necessario mettere in
relazione diverse grandezze non sempre desumibili dalle statistiche
disponibili. Semplificando, si tratterebbe di conoscere la reale consistenza
dei flussi di arrivo per lavoro nel corso di un anno, la durata della
permanenza e la quantità di flussi incrementali prodotti dall'effetto indiretto
del ricongiungimento familiare. Se anche si disponesse di quantificazioni
così esplicite e chiare si potrebbe esprimere il fabbisogno abitativo in termini
di posti letto, ma non in termini di tipologie delle strutture. Infatti, la
tipologia della struttura abitativa idonea a dare ospitalità agli immigrati
dipende dal tipo di richiesta che deve andare a soddisfare:
- richieste provenienti da soggetti all'inizio del loro percorso migratorio;
- richieste da immigrati con lavoro stagionale con contratto e impiego
limitato che tornano in patria alla fine dell'incarico;
- richieste rivolte da individui con famiglia.
L'appartamento o la casa è la tipologia abitativa che sicuramente risponde
alle domande del terzo tipo, ma non in modo esclusivo. L'abitazione in
senso stretto rappresenta la struttura che può soddisfare le esigenze
espresse anche da gruppi di connazionali single pure nell'ipotesi di
temporaneità della loro permanenza. Oltre all'appartamento (o casa) ci sono
altre tipologie abitative che possono rispondere alla domanda di abitazione
degli immigrati:
- comunità alloggio: strutture gestita in forma di comunità da un soggetto
esterno, gli ospiti condividono spazi comuni e pagano una retta di affitto;
- dormitori: strutture che provvedono ad esigenze alloggiative temporanee
e di emergenza;
- foresterie: alloggi con camere affittate ad immigrati;
- pensionati: strutture che offrono oltre alla camera il vitto.
La dotazione di strutture con diversa funzionalità e rispondenti ad esigenze
diverse dipende, non da ultimo, dalle scelte che gli attori locali, pubblici e
privati, intendono operare.
Ritornando all'aspetto quantitativo della stima, si richiama l'attenzione su
alcuni elementi conoscitivi che possono contribuire a fornire una stima dei
posti letto necessari per soddisfare una domanda incrementale annuale
proveniente dalla componente immigrata. Va ribadito, comunque, che si
tratta di grandezze sulle quali ragionare più che di vere e proprie stime
puntuali.
Proviamo a svolgere l'esercizio per la provincia di Venezia. L'aumento dei
residenti extracomunitari in provincia di Venezia, negli ultimi anni prima che
si verificasse l'evento dirompente (per dimensione del fenomeno) della
regolarizzazione, era di circa 2.000 unità all'anno. Tale ammontare
comprende i minori (che in età inferiore ai 14 anni non hanno permesso di
soggiorno individuale) e i nati. Si può assumere la misura dei residenti come
grandezza di riferimento per una stima dell'aumento del numero dei posti
letto per la componente più stabile dell'immigrazione.
Dai dati sulle autorizzazioni concesse (dati di flusso annuale di ingressi
dall'estero per lavoro) risulta che negli ultimi anni i flussi di ingresso per
lavoro a tempo indeterminato oscillano attorno a valori di poche centinaia,
mentre assai più consistenti sono i flussi a tempo determinato (crescenti
dalla fine degli anni novanta) che nel 2002 sono stati di circa un migliaio e
di quasi due (1.799) nel 2003. Ragionevolmente si tratta in buona parte di
lavoro stagionale anche se, come è noto agli operatori, il ricorso al contratto
a tempo determinato viene anche usato come periodo di prova del
lavoratore immigrato.
Tenendo conto di queste informazioni, nella provincia di Venezia il
fabbisogno incrementale annuale di posti letto, nell'ipotesi di incrementi
come quelli osservati qui, potrebbe aggirarsi sulle 2.000 unità a cui vanno
aggiunte circa altre 2.000 per l'ospitalità temporanea.
Si tratta di un'ipotesi di stima da prendere con cautela. Inoltre, va
considerato che gli ingressi (autorizzazioni) potrebbero già essere, almeno in
parte, inclusi nei dati sui residenti. L'immigrato non ha obbligo di chiedere
l'iscrizione anagrafica, quindi ci possono essere cittadini non comunitari
insediati sul territorio che hanno solo il permesso di soggiorno e non
vengono compresi nelle residenze. Si ritiene, però, che le caratteristiche
della fonte sui permessi di soggiorno (la provincia di rilascio del permesso
può essere diversa da quella di effettiva dimora, i permessi contabilizzano di
solito solo i minori con più di 14 anni) non consentano di svolgere stime più
affinate di quelle proposte.
In conclusione, le stime sui fabbisogni abitativi possono avvalersi delle
attività di monitoraggio svolte sia sul fronte della dinamica demografica sia
su quello della domanda di lavoro. L'analisi di trend di una presenza che
continua a crescere rappresenta un'indicazione di metodo per prevedere gli
incrementi della domanda abitativa evitando così di adottare soluzioni di
emergenza ed incentivando, invece, le soluzioni programmate che facilitano
il corretto inserimento dei nuovi cittadini nelle comunità di arrivo.
7. Il ruolo del pubblico e del privato non profit
Nella ricerca di un'abitazione l'immigrato si muove da solo o con l'appoggio
dei connazionali anche se, come indicano alcune ricerche (Zucchetti, 1999;
Coses, 2002), non va dimenticato il ruolo rilevante svolto dal terzo settore -
anche in collaborazione con gli enti locali - nell'opera di facilitazione per la
ricerca di una casa (si pensi al compito di intermediazione tra proprietari di
case e immigrati oltre che all'offerta di posti letto in strutture proprie o dal
non profit gestite). Ma, in termini di quantità, l'offerta è risicata e incide
sulla parte più marginale della domanda. Così pure la disponibilità offerta dai
comuni nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica risulta poca cosa in
confronto alla richiesta. Una recente ricerca OSIV svolta in provincia
(Coses, 2003) testimonia che i posti letto occupati da immigrati nell'ambito
dell'edilizia residenziale pubblica e nelle strutture gestite dal terzo settore
pesano per il 6% sul totale delle presenze: dati al 2002, 790 posti letto (di
cui 296 ERP (Edilizia Residenziale Pubblica) e 494 gestiti dal non profit) su
circa 14.000 immigrati extracomunitari presenti dotati di permesso di
soggiorno (La rilevazione è aggiornata al 2002, sono stati considerati i dati di stock relativi
all'edilizia residenziale pubblica occupata da cittadini extracomunitari e i posti letto
occupati da essi in strutture del terzo settore o solo da esse gestite.
).
In base alla ricerca citata su 4.752 domande presentate per l'assegnazione
di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica il 14% (655) riguarda domande di
immigrati (fig.6) che vengono soddisfatte nel 5% delle domande valide (30
su 596), una quota inferiore a quella attinente le domande degli italiani e
pari al 7% (258 su 3.561). I tassi di esclusione sono del 9% (59 su 655)
per gli immigrati e del 13% (536 su 4.097) per gli italiani. Si smentisce
quindi l'idea che difetti di forma o nel merito pesino di più nelle domande
degli stranieri. Su 100 alloggi assegnati il 10% (30 su 288) va agli immigrati.
Fig. 6 Edilizia residenziale pubblica: domande presentate,
escluse e soddisfatte in base
alle graduatorie in vigore al 2002
Fonte: Coses 2003
Dalle organizzazioni del terzo settore (la rilevazione ha incluso le entità religiose per l'importanza che esse hanno nell'ambito del fenomeno osservato, anche se non appartenenti in senso stretto al terzo settore così
come spesso definito in letteratura) operanti in provincia proviene
un'offerta di circa 500 posti letto in strutture gestite dalle medesime
organizzazioni. Il 24% dell'offerta viene dagli enti religiosi (ente
ecclesiastico, istituto religioso, parrocchia), il 21% dalle cooperative sociali,
il 22% dalle Ipab, il 9% dalle fondazioni. Il resto si distribuisce tra
associazioni (5%), enti morali (4%), altro (15%) (fig.7).
Fig. 7 Distribuzione di posti letto per tipologia
dell'organizzazione (rilevazione settembre 2002)
Fonte: Coses 2003
Circa il 37% dei posti letto sono pagati per rette e affitti (si tratta di spese per rette ed affitti per la gestione dei posti letto, nel questionario si
chiedeva di chi erano a carico le spese) esclusivamente
dalle amministrazioni pubbliche (fig.8) che concorrono ai costi con il terzo
settore per un altro 9%. Il 28% dei posti letto sono pagati dai soli immigrati
ospiti, il 16% dalle sole onp (organizzazioni non profit) e il 9% è a carico sia
degli ospiti che delle onp.
Naturalmente anche quando le spese di ospitalità in senso stretto sono a
carico di enti diversi dalla onp, questa non è esente dal sostenere altri costi
riguardanti la gestione generale e la progettazione degli interventi.
Dall'indagine emerge inoltre che le risorse pubbliche destinate all'ospitalità
degli immigrati non sono solo quelle dell'edilizia residenziale pubblica, dei
contributi erogati a sostegno delle spese di locazione o di altri interventi
gestiti direttamente dal pubblico, ma anche le risorse impiegate nel terzo
settore che realizza progetti di ospitalità; d'altro canto si sottolinea che
forse proprio il welfare mix pubblico-privato non profit riesce a produrre
servizi che da soli nessuna delle due parti riuscirebbe a produrre.
Fig. 8 Ripartizione dei posti letto in base al soggetto
che si fa carico della spesa di rette o affitti
(rilevazione settembre 2002)
Fonte: Coses 2003
Consultazione del lavoro
Estratto del Notiziario OSIV n. 3 - Maggio 2005, a cura di Stefania Bragato.