Ascoltare il silenzio

di I. Scaramuzzi


Ad un certo punto della navigazione, il capitano dice: "Adesso facciamo una cosa insolita. Ascoltiamo il silenzio".
Siamo lungo il Silone, da Portegrandi scendendo verso Torcello.
Alberto Toso Fei dice "Tutto comincia nel 452. Peccato che non si sottolinei che Venezia nasce grazie ai barbari". La Storia la sappiamo e chi no può leggerla scritta, appunto, da Alberto per la Provincia (Toso Fei, 2008, Turricellum, Assessorato alla Cultura Provincia di Venezia).
Benché non nativa -vengo dalle prealpi dell'Ovest- conosco la Laguna e il suo paesaggio è una delle ragioni per cui ho scelto di vivere qui. Qui vuol dire in Veneto, e alla fine dirò che cosa intendo.
Oggi, 7 agosto, la Provincia di Venezia, Assessorato alla Cultura, sperimenta un itinerario d'acqua, che usa la Laguna come si deve: cerniera naturale e storica tra la terraferma e le isole. Il nostro capitano, Stevanato, ha fatto il trasportatore di cose per lavoro e oggi trasporta persone nel loro tempo libero: segno concretissimo di quella che gli economisti e i sociologi chiamiamo terziarizzazione infinita. Una economia che ne sostituisce un'altra: lavori e redditi diversi da quelli di qualche decennio, e anche qualche anno, addietro.
Da Portegrandi, frazione di Quarto d'Altino, vicinissimi alla provincia di Treviso ci imbarchiamo e navighiamo quasi un'ora e mezza, in vista di barene, di valli lagunari, di sponde d'acqua dolce e mista a canneto: davanti a noi profili a raso e all'orizzonte -nella sgranatura dell'immagine che appartiene ai miraggi- la promessa di isole con campanili e torri (da cui Torricellum).
Dalla Gronda lagunare, dalla terraferma, arrivare alle isole ci spiega come il luogo che nell'immaginario collettivo chiamiamo Venezia, sia parte di un arcipelago ibrido: terre emerse, isole abitate, ma anche tutto il loro contrario velme e barene, terre che vanno sotto acqua, e insediamenti sulle bonifiche, dove c'era una volta il mare.
Non so se sia ridimensionare l'isola grande, Venezia, metterla in un contesto largo e più meraviglioso: tanti miracoli costruiti sull'acqua, non solo uno, seppure più denso e (ancora miracolosamente) abitato. Forse è il contrario: è conferirle un sortilegio più grande, è aumentarla perché comprendiamo chi sia, come avviene ogni volta che leghiamo una creatura al luogo in cui vive.
Una dimostrazione immediata di quanto importante sia l'accesso ad un luogo turistico, come possa radicalmente modificare la percezione dello stesso luogo, e l'esperienza che noi ne abbiamo.

Il suggerimento del capitano, ascoltiamo il silenzio, ci introduce ad un'altra esperienza di visita, che aumenta ancora ciò che possiamo trovare intorno a Venezia, nelle altre isole dell'arcipelago. Qualcosa che forse è difficile o ormai impossibile trovare nei luoghi deputati del turismo e nelle sue ore di punta: l'intima connessione della città unica al mondo con la sua campagna. Un contesto rurale del tutto sottovalutato dal turismo veneziano e da molta retorica che esaltando il suo miracolo urbano (la costruzione di una città sulle acque) dimentica questa connessione identitaria.
La si conosce se si praticano le isole -prima fra tutte la Giudecca- e i litorali, oppure la gronda: in una parola se si colloca Venezia nella sua Laguna.
L'estate scorsa, partendo dalla rilettura delle prime poesie di Gilberto Sacerdoti (nativo della Giudecca), avevo riflettuto sul turismo del silenzio: un itinerario che portasse chi vuole questo tipo di esperienza nelle isole della Laguna, senza motori o spegnendoli ogni tanto, soprattutto senza correre e andare, come si dice, a manego, credendo di fare sci d'acqua su qualche litorale californiano.
Perché il silenzio come c'è nei canali della Laguna e sulle sponde delle isole -sia la faccia di Giudecca verso sud, sia lo spiazzo di S.Servolo, sia la darsena di S.Giorgio o della Certosa, sia Torcello o Mazzorbo- non è un silenzio qualunque, può esserci solo qui.
Un silenzio che è anche un ritmo, da intorno ti prende, ti sospende, ti costringe ad assumerlo. E in questa nuova dimensione ciò che vedi, sia garzetta bianca in mezzo al lilla, sia facciata di Codussi, sia profilo di Marghera o di Jesolo, è tutto un altro luogo. In questo connubio raro tra magnificenze costruite, superbamente urbane, campagna coltivata, orti e giardini, spazi aperti, persino se trascurati e (perfino) rotture di paesaggio della modernità.

Se scendere alle isole veneziane dalla Gronda descrive, forte e chiara, la relazione tra Venezia e il Veneto -questa è la laguna euganea, ci racconta Toso Fei- tra la metropoli di Padova-Treviso e Mestre e l'Adriatico, questo silenzio, ad ascoltarlo, ci suggerisce anche che la città diffusa, quel misto peculiare tra urbano e rurale, che urbanisti e geografi attribuiscono alla terraferma, c'è anche qui: in Laguna. Guido Piovene, negli anni Sessanta, scriveva di questa intima similitudine tra Serenissima e Venezie: è una lettura trascurata che forse andrebbe ripresa.
La narrazione del territorio è un valore, non solo per i viaggiatori.


di I. Scaramuzzi, Direttore COSES, 8 agosto 2008, Doc. COSES n. 1028, settembre 2008

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