L'analisi in un contesto locale della crisi del tessile-abbigliamento - settore al quale si associano a volte definizioni più ampie come settore moda - non può che limitarsi alla descrizione della situazione osservata localmente, rimandando necessariamente al contesto nazionale le argomentazioni sulle ragioni della crisi. Infatti, il dibattito sulle motivazioni della perdita di competitività di alcuni settori manifatturieri (tra cui appunto quello del tessile-abbigliamento) è centrato sulla crisi del modello di specializzazione troppo sbilanciato verso i settori tradizionali. L'Italia ha goduto per molti anni del vantaggio competitivo nei settori tradizionali, vantaggio rafforzato da processi di svalutazione della moneta e da misure di protezione commerciale "assai pronunciate proprio nei settori tradizionali, quali tessile-abbigliamento e agricoltura. I limiti di questo modello di specializzazione diventano però evidenti nel momento in cui il processo di globalizzazione si allarga anche ai paesi in via di sviluppo. Si erode il vantaggio comparato dell'Italia. Le carenze di manodopera qualificata impediscono un rapido adattamento del modello di specializzazione della nostra economia che rimane quindi ancorata ai settori sempre più esposti alla concorrenza dei paesi emergenti. Il protezionismo non è però una risposta, soprattutto nella misura in cui incoraggia lo spostamento di nuove risorse verso i settori in declino e accentua, invece di risolvere, i nodi strutturali della nostra economia" (Faini, 2004, pag. 76). D'altra parte, la politica industriale seguita nel nostro paese non ha che favorito la perdita della grande industria in settori ad alto contenuto tecnologico e richiedenti manodopera altamente qualificata (Gallino, 2003). Cosicché oggi lo squilibrio nel mercato del lavoro tra un'offerta di giovani che formano ciò che chiamiamo le sacche della disoccupazione intellettuale e, dall'altra parte, una "famelica" richiesta di manodopera poco qualificata soddisfatta (con difficoltà) dai lavoratori immigrati, non è che l'effetto della stessa causa.
Quindi la crisi dell'industria tessile-abbigliamento di cui tanto si parla nell'ultimo anno non è una cosa recente, le ragioni nascono da lontano, gli effetti forse sono più evidenti ora con l'accelerazione dei mutamenti nelle condizioni dell'economia mondiale. La Cina è solo l'ultimo imputato con il suo sistema di vantaggi comparati nella produzione dei beni per l'abbigliamento.
Ad accrescere la perdita di competitività nel mercato mondiale delle produzioni manifatturiere italiane ha contribuito anche il calo della produttività del lavoro che ha comportato un incremento del costo del lavoro per unità di prodotto. Ciò è dovuto non tanto alla scarsità degli investimenti delle imprese, quanto piuttosto al tipo di investimenti effettuati che non si sono tradotti in un uso più efficiente delle risorse: "occorrono finanziamenti per le necessarie ristrutturazioni delle vecchie imprese e finanziamenti per le nuove imprese innovative" (Daveri, 2005).
Il Rapporto COSES n. 104/06 dedicato alla ricerca sopra descritta è disponibile in PDF per il download in versione integrale. |
Hanno contribuito a questa ricerca fornendo e/o elaborando le informazioni contenute i seguenti enti ed istituzioni:
Ringraziamenti
Senza la collaborazione di Enrico Bernardinello (Inps), Danilo Maurizio (Veneto Lavoro), Fabio Occari e Alberto Scattolin (Osservatorio Ebav) non avremmo potuto analizzare con dettaglio i temi affrontati nello studio.
Ringraziamo per le conversazioni avute e il tempo dedicato Gianni Ballarin (Comet), Giancarlo Corò e Giuseppe Tattara (Università di Venezia), Walter Dotto (Passaggio Obbligato), Zimer Longhin (Confartigianato e Vogue), Marco Martinelli (Martinelli), Piero Scomparin (Cisl), Vania Toffanin (Cgil).