Terzo Veneto e web 3.0

di I. Scaramuzzi, Direttore COSES

Avendo partecipato a 3 incontri nell'ampio carnet proposto dal Festival Città-Impresa (Paolini palaMazzalovo di Montebelluna; Wales Teatro AldoRossi di Borgoricco, Padova; Candidatura a Capitale Europea della Cultura 2019, Laguna Palace, Mestre, Venezia) mi sono domandata che relazione c'è tra Marco Paolini, che ci propone la sua segretaria multilingue, con pesante calata veneta, la quale guida lo sprovveduto viaggiatore nella giungla della città diffusa, e Jimbo Wales uno dei fondatori di Wikipedia che tiene un talk in velocissimo angloamericano dell'Alabama, dialogando con il direttore di Nordest Europa.it??
La relazione è la Contemporaneità.
Sono due modi di raccontarla, di rappresentarla, da parte di due personaggi che la fanno. Qualcuno direbbe: uno la fa (Wales ideatore di Wikipedia e di Wikia), l'altro la racconta (Paolini, autore-attore di visioni nordestine come Bestiario Veneto). Ma non è così vero: la Contemporaneità (ce lo ha spiegato il professor Sacco a Mestre) è un confine che si è sfilacciato, si è con-fuso, tra il pubblico (l'audience, i consumatori) e il produttore, tra la vita e lo spettacolo, tra il tempo di lavoro e quello libero, tra chi narra e chi ascolta, chi domanda e chi costruisce le risposte, chi fa intrattenimento e chi lo fruisce nella società dello spettacolo. Così, il guru dell'enciclopedia fatta dagli utenti e il guru del Veneto teatrale, il massimo di identità globale e il massimo dell'identità locale, si toccano.

La contemporaneità è anche il paesaggio in cui tutto questo avviene.
Nel nostro caso è questa città diffusa (nel mio caso tra Treviso, Padova e Venezia) di cui parliamo almeno da 20 anni, da quando -per scegliere un cippo di inizio del percorso- l'IUAV pubblicò il volume La città diffusa o da quando, sempre nel 1990, lo Stato nazionale ci provò con la normativa ad istituire la metropoli che già si faceva senza bisogno di leggi. Questo paesaggio, non è più distinguibile tra ciò che è natura e ciò che è cultura, se mai un paesaggio lo è stato poiché per vederlo occorre comunque chi lo guarda e chi lo guarda ha degli occhiali culturali sempre molto forti. E nella Cultura, qui ed ora, non sappiamo ancora con certezza che cosa includere: Internet è cultura? gli internauti sono i nuovi barbari? E nella città diffusa che specie di umanità vive, un cittadino a bassa densità? E con quali occhiali culturali vede il paesaggio che ha contribuito a costruire?

In questo paesaggio cerca di abitare Paolini, cantore di questo Veneto, attento ascoltatore, coinvolto narratore.
Il Recital a Montebelluna è straordinariamente imperniato sul PTRC, un piano regionale di coordinamento, a partire dalla Carta di Asiago, in cui 5 saggi hanno cercato di riflettere sul Paesaggio. Per chi si occupa di territorio per mestiere (anche prima che tornasse così di moda, per il fatto che la Lega ci sembra legata, al territorio), è un colpo di teatro che un attore si dedichi con tanta documentazione e partecipazione ad un piano territoriale. Che sia venuto il tempo di innovare anche il ruolo dei planner? Una di loro, che si chiama Patsy Healey, sostiene da anni qualcosa di simile che si chiama discoursive planning e si basa sulla partecipazione dei territori. Paolini ci fa vedere come la narrazione sia capace di divulgare tecnicismi e teorie che abbiamo sempre tanto faticato ad avvicinare ai non addetti ai lavori, che le hanno mal tollerate come intellettualismi o raggiri di potere.

In questo paesaggio non stona lo straniero Jimbo che viene da quello che solo ieri chiamavamo tutto un altro mondo: vuoi le sterminate diffusioni metropolitane degli USA (dove c'è molta più Campagna di quanto l'iconografia della Grande Mela ci faccia supporre), vuoi quel mondo virtuale globale che ha prodotto Wikipedia e Wikia. Ma, esistono ancora forestieri nel villaggio globale? e le Contee di Madison (dove è nato Wales) e di Pinellas (dove abita) sono tanto diverse dal Camposampierese? Lui, esordisce dicendoci I'm just a guy from the Internet. Non può non colpire la noncuranza con cui questi miti del mondo, queste figure giganti in paesaggio contemporaneo, trasmettano understatement. Lui è arrivato a Borgoricco con 20 minuti di anticipo e si è curato di verificare che le proprie diapositive funzionassero sul computer e sullo schermo. Ci sarebbe molto da imparare per il nostro irrinunciabile paludamento di Italians, quando parliamo di Cultura.
La registrazione del Talk è disponibile nel sito di Telecom.

Per curiosità professionale sono andata su Wikipedia a vedere i luoghi nella biografia di Jimbo, i suoi paesaggi.
Wales nasce ad Huntsville Alabama, cittadina fondata nel 1805 che, per raggiungere 369.000 anime deve unirsi a Decatur per formare una area metropolitana (ho detto metropolitana!), perché di sue ne ha soltanto 168.000, come Mestre. Ha preso una laurea sempre in Alabama, lo stato del Sud fatto di cotone, con un paesaggio di contadini e manifatture (fino a ieri), nella città universitaria di Auburn che di abitanti ne ha 50 mila, come Chioggia, con 24 mila studenti. Auburn viene definita incantevole villaggio delle pianure. Poi, Wales ha fatto fortuna a Chicago, ha fondato Wikipedia e ora abita in Florida, lo Stato del tempo libero, in un luogo che si chiama San Pietroburgo (St. Peterborough) nella Contea di Pinellas. L'area, se la guardate su Google Earth, è una miscela di golfi e lagune, di tessuto urbano (a quadrillage, come il graticolato romano) e di isole probabilmente artificiali, tanto che una sua vasta area di ville e villette in riva al mare si chiama Venice Island ed è unita da una strada principale che si chiama Grand Canal Boulevard. Se usate lo zoom di Google arrivate a vedere le piscine (iconema statunitense), i capannoni, le case unifamigliari diffuse, i centri commerciali, grandissimi parchi lungo spiagge probabilmente favolose.
Molti di questi luoghi sono cittadine piccole, da 10 o 20 mila residenti, nati per le vacanze in cui si vive adesso tutto l'anno, anche perché sono connessi via banda larga, a qualunque posto.
I Comuni del Camposampierese (riuniti tra l'altro in una IPA, Intesa Programmatica di Area) ospitano questo Festival all'interno del loro progetto per la dotazione di banda larga. Non voglio forzare nessun parallelo.

Ciò che hanno in comune, i due personaggi, è un Festival, dal titolo suggestivo e persino ambiguo: la Cultura ci fa ricchi. Ricchi dentro come si dice (quando uno ha pochi soldi), ma anche ricchi dalla parte del portafoglio e non del cuore, perché con la cultura si può fare economia, si producono redditi, si generano fatturati e si mobilita capitale umano in forme non-profit che costituiscono l'humus dell'impresa e del profitto. Un tempo la Cultura la facevano i ricchi, i principi, i mecenati, gli industriali, i filantropi: era un impiego di ricchezza accumulata altrimenti. Al popolo, tutt'al più pane e circo. In quella peculiare società che è stata Venezia, con un rapporto speciale tra Stato e popolo, pensate ai mercanti e a ciò che hanno lasciato sotto forma di città. Ora parrebbe che la cultura diventi un generatore di ricchezza (i dati raccolti dal professor Sacco), non solo dello spirito e della persona, ma delle nazioni. E, certamente, diventa un generatore di città.

Così il Festival cultura-impresa mette in campo una proposta coraggiosa e coerente: avvia un progetto strategico che abbia come punto di transito, non come traguardo finale e non come epifania, l'evento denominato Capitale Europea della Cultura. Il Nordest se ciapa 'vanti (come direbbe la segretaria di Paolini) e lavora con un decennio di anticipo a fare della cultura un effettivo motore economico del territorio. Un territorio per capitale è il sottotitolo: nel senso di città dominante e anche nel senso di capitale, umano, produttivo, sociale. L'ossimoro, come diceva Giuliano Segre a Mestre, è particolarmente felice e descrive una capitale atipica ma non atopica, per usare un calembour: che ha un sistema di luoghi, storici e contemporanei, vivaci e che vorremmo anche vivibili.
Un territorio diffusamente urbano, le province centrali del Veneto (quello del PTRC) e magari quelle transfrontaliere del Friuli e del Trentino. Le terre che, attorno alle città classicamente intese, hanno vissuto la transizione a volte durissima dalla campagna del Primo Veneto, all'industria fordista e poi distrettuale del Secondo, lavorando il proprio paesaggio naturale fino a non riconoscerlo quasi più.
Le terre e le comunità, vuoi produttive vuoi abitative, che oggi devono dirsi quale Terzo Veneto vogliono: sia quello proposto dalla Carta di Asiago, sia quello del PTRC, sia un Terzo ancora non dato. Un Terzo al quadrato.

Il Festival fa, insomma, alcune scelte teoricamente eccellenti che apprendono degli insegnamenti che chiamiamo per tentativi ed errori.
Vorremmo evitare, come ci esorta Pierluigi Sacco a Mestre, di rifare ciò che non ha funzionato nelle altre Capitali Europee della Cultura: un evento meteora che non prepara innovazione e non lascia traccia, o peggio.
Vorremmo ridefinire, come ci suggerisce Paolini, la metropoli diffusa per darci un nuovo paesaggio da abitare, attività sociale che è diversa dal risiedere perché siamo iscritti ad una Anagrafe.
Vorremmo far evolvere insieme l'economia di impresa e la cultura perché se non si può essere ricchi e ignoranti per troppe generazioni, è anche vero che la Cultura paludata deve apprendere ad arricchire gli ignoranti, confrontandosi davvero con la diffusione del sapere e con la moltiplicazione dei media. Il Festival fa anche una quarta scelta già profondamente intrisa di cultura contemporanea: mescola e contamina generi diversissimi, personaggi e linguaggi che sembrano una insalatiera mediatica e che solo ieri avremmo storto il naso a vedere insieme.
E questo è già il riconoscimento che la cultura è radicalmente cambiata, i barbari sono tra noi e siamo già, tutti, meticci.
Quando Giuliano Segre sottolinea che non vogliamo una Capitale che è Venezia, in cui tutti vengano a vedere Goldoni (messaggio dirompente quando lo sentiamo affermare da un lagunare) ma un territorio capace di ospitare dialoghi tra le culture del mondo -anche Goldoni, magari messo in scena da un Lituano- riassume lo spirito.
Quando Mr. Jimbo parla, in un teatro disegnato da Aldo Rossi, nella città diffusa che è cresciuta sopra il graticolato romano (i comuni del Camposampierese, contigui in tutto e per tutto a quelli del Miranese), afferma che il futuro è matching e merging: che si devono inevitabilmente incontrare e contaminare wikipedia e twitter, e dopo il web 2.0 arriverà il 3.0 senza che nessuno lo abbia pianificato, nel vecchio modo a cui eravamo abituati. Proprio come il paesaggio del Terzo Veneto.

Wales dice, anche, che laddove il computer non può arrivare, là arriveranno le persone: il software mette a sistema ma le risposte alle domande vengono dagli umani. Detto da uno che viene da Internet fa effetto: sembrano parole da Umanista, e, infatti, quando parla del libro di carta e del giornale di carta, con l'aria di un bambino a cui qualcuno chiede se considera superata la Nutella, dice che sono fantastici da leggere sulla Spiaggia. Spiega che tendiamo troppo a identificare il concetto (di media) e l'oggetto: nel nostro futuro ci devono stare tutti gli oggetti che lo migliorano, la comunicazione aumenta il benessere (fa ricchi) non ne elimina gli oggetti.
La quasi mitologia della partecipazione a Wikipedia è il punto di contatto con altri discorsi del Festival: non sono soltanto gli stili e i generi che si mescolano ma anche produttori e consumatori. Roberto Morelli la chiama eco-production. Paolini costruisce i propri spettacoli (da sempre) con un sistema ininterrotto di prove aperte in cui l'interlocuzione col pubblico è parte costitutiva. Wikia ha sviluppato una serie di community (pare ne nasca una ogni 6 minuti), come lostpedia (a partire dal serial televisivo Lost) o Tampabayhomeless (riferimento dei senza dimora della contea) che sono la frontiera di contaminazione tra enciclopedia e tessuti sociali, in carne ed ossa. Del resto le enciclopedie sono divulgazione popolare del sapere, anche quando ne fece una Treccani in periodo fascista o quando la Britannica cambiò dalla XI° edizione.
E il fatto che questa opera produca un grande valore senza profitto (anche se Wikia è una istituzione profit), il fatto che vi partecipi una popolazione di volontari rispetto ad una manciata di impiegati, ci dovrebbe far riflettere sulle forme di partecipazione e inclusione di massa, che animano una sorta di welfare diffuso, non più necessariamente filtrato dal soggetto pubblico. Una rivoluzione. E il fatto che, nella produzione di "consumer media" chi ha molto talento emerga, chi ha meno talento comunque si diverte, è un'altra modalità sociale che ci suggerisce riflessioni più generali sulla cultura di massa e globale.

Non solo lo spettacolo, dunque, è contaminato ma lo è il sociale e tenersi indietro -scandalizzandosi dei barbari- diventerà ineluttabilmente tenersi fuori. Me ciamo drento, diceva Paolini in Bestiario Veneto, this land is my land, Barba Zucon Town. La cultura ci fa ricchi, e probabilmente ci accompagna nel futuro anche quando abbiamo timore di un paesaggio incognito.


di I. Scaramuzzi - Direttore COSES, Venezia, aprile 2010


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