We can work it out

Rigenerazione urbana nelle città della rivoluzione industriale


Cosa indaghiamo

Ne verremo fuori.
Il titolo di una delle canzoni dei Beatles, nativi di Liverpool, mi pare quello che meglio sintetizza l'impressione ricevuta durante il viaggio di studio AUDIS (25 aprile-1 maggio 2006), nelle città della rivoluzione industriale: Manchester, Sheffield, Birmimgham e, appunto, Liverpool o per dirla correttamente la City region del Merseyside.
In questo documento si riportano alcune delle molte suggestioni raccolte durante il viaggio. Marina Dragotto, il nostro virgilio, ed io ci siamo dette che bisognerebbe vivere a Manchester almeno sei mesi, per poter sviluppare opportunamente le suggestioni ricevute, in soli sette giorni.
La ricchezza dei lavori in corso - tante gru così le ho viste solo a Beijng - delle partnership, delle idee urbane, delle potenzialità e delle realizzazioni da toccare con mano, è così forte e vistosa da travolgere.
Ce la faranno di sicuro, a venir fuori dalla crisi del manifatturiero e dalla crisi sociale che questa ha portato con se, con un numero di disoccupati e di deprivati, che nemmeno Kevin Loach (il regista di Full Mounty) è riuscito a farci percepire.
L'erba del vicino, si sa, è sempre più verde anche quando si tratta di crisi.
Loro, intuiamo, l'hanno avuta più dura di noi (intendo noi veneziani, noi vicini a Porto Marghera), è quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Altro che qualche migliaio di ettari da rottamare, se mai i nostri lo sono stati davvero.
Le città del cosiddetto NorthWest (Midlands, Yorkshire, Merseyside) costituiscono, insieme, l'area urbana più densa d'Europa, dove l'industria è nata e dove l'insieme di attività forti legate ai porti e alle manifatture di base (tessile, carbone, acciaio, plastica) hanno dato luogo ad un unicum straordinario.
I numeri di questo sistema fanno impallidire qualunque nostro problema locale: si tratta di decine di milioni di cittadini, di addetti, di imprese, di ettari, di edifici produttivi dismessi, di abitazioni inabitabili, di aree da bonificare, di disoccupati e di deprivati (famiglie molto sotto la soglia di povertà).
È in cantiere una rigenerazione, tanto grandiosa quanto il declino.
In sette giorni abbiamo potuto solo passare con lo sguardo su un sacco di cose, come il liver, l'uccello marino che da il nome alla città dei Beatles.
Abbiamo immagazzinato immagini e spunti, come memory card di una fotocamera digitale; abbiamo provato un misto di incredulità, ammirazione, quasi-invidia.
Ma dove diavolo hanno trovato i soldi per fare tutto ciò?! Risposta secca: dalla Unione Europea, Obiettivo 1 (quello stesso che ha avuto il nostro Mezzogiorno). Qualcuno commenta che i programmi europei bisogna "costruirseli addosso": i Paesi membri li sostengono in sede comunitaria, dopo esserseli progettati su misura a casa propria. Sembra che noi non siamo capaci, o non facciamo lobby abbastanza, a Bruxelles.
Ma i denari vengono anche, come sembra ovvio che sia, dai grandi investitori, altrimenti perché si chiamerebbero così: in testa i mostri del retail britannico, Tesco, Sainsbury, Debenhams, Mark&Spenser, Selfridge, seguiti da Banche come HSBC Hong Kong & Shangai Banking Corporation, catene alberghiere (Marriot, Hilton, Sheraton, Radisson SAS), real estate e poi imprese multinazionali e straniere.
La lista, che annovera Jaguar, General Motors, Peco, Coghlin Logistic, David McLean, Laing O'Rourke, Sony, Amaze, Mando Group, Chiron Novartis, Squibb, Unilever, BT, Software Generation, Maersk, DHL, MA Logistic, Meridian……è pressoché illimitata.
Nomi da brivido, per noi che siamo attestati sull'equazione: grande operatore-grande speculazione. Ci ha accompagnato, dunque, il benefico dubbio che davvero tutto funzioni così bene e, soprattutto, che tutti siano contenti dei risultati.
Nella documentazione distribuita alla sede di Urban Splash, a Manchester, c'è una brochure molto curata che riporta le interviste degli abitanti originari di Islington, uno dei quartieri deprivati, oggetto di rigenerazione: basta guardare le facce, nelle fotografie, per capire che tutto sono, meno che contenti. E il loro story telling, ammirevolmente riportato nella brochure, è tutto fuorché entusiasta o acritico nei confronti di New Islington.



Manchester 2006, New Islington Cantieri della Millennium Community
Urbis 2000 Ian Simpson Architect


Non siamo così ingenui da credere che, qui, non stia allargandosi la forbice tra segmenti ricchi della città e della popolazione e segmenti deprivati: tipico fenomeno urbano, riscontrabile dappertutto ma segnatamente nelle regioni che mostrano performance da primato, come l'Irlanda (per citare un caso vicino).
Ci ha assistito, accanto ad una ammirazione spesso entusiasta, un sano scetticismo per ciò che viene esibito - però le cose concrete sono lì, tangibili, siano edifici di abitazione o musei interattivi, industrie creative o parchi di dune.
E non abbiamo disertato nemmeno lo snobismo tipicamente italiano per i limiti estetici degli interventi, che sono mediamente bruttini, soprattutto quando si tratta di edilizia ex novo: a Islington sono in finitura alcune tra le abitazioni a schiera più pulp dell'occidente.
Ma ci sono anche David Liebeskind (Imperial War Museum di Salford) e James Stirling con Michael Wilford (Lowry Centre a Salford) e poi Tadao Ando per i Piccadilly Gardens. Ci sono anche architetti e studi da noi poco noti ma che, a giudicare dal portafoglio progetti nei loro siti web, stanno davvero rigenerando l'Europa e il mondo. Citiamo, per tutti, il danese 3xm vincitori per il nuovo National Museum di Liverpool in cantiere sul Pier Head per il 2008, e Ian Simpson progettista del Museo della Scienza e dell'Industria di Castlefield, nonché del suggestivo cuneo di vetro sede di Urbis, alle spalle della Collegiata di Manchester: uno dei segni più forti del tessuto centrale.
L'anima del Paese più griffato e più snob del mondo, l'Italia, viene salvata dall'estetica: per non fare una cosa bruttina, meglio non farla. Cosa che ci riesce naturale.
E così, il nostro gruppo, storce il naso davanti alla qualità estetica degli edifici o sulle loro rifiniture, o sulla composizione urbanistica: una miscela da urlo, stile una scarpa e uno zoccolo, quello che loro definiscono grain, la grana, la marezzatura dell'insediamento, e alla quale sono affezionati come ad un valore identitario. Paese che vai.



IWM Imperial War Museum, David Liebeskind 2002
Stirling e Wilford 2000 Lowry Centre Salford Manchester UK


Ma abbiamo un alibi più forte ancora, quello del sistema decisionale: loro, i brits, sono abituati a gestire l'Impero, figurati se non sono abili con le partnership e con le communities. Noi, non siamo ancora del tutto sicuri di avere uno stato nazionale, figurarsi mettere insieme pubblico e privato. Loro, tengono insieme Tesco, l'orco della distribuzione commerciale, con la comunità deprivata di Islington e riescono a produrre una città-nella-città in cui un Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco (il quartiere manifatturiero di Ancoats) fronteggia un parco commerciale suburbano (Toys, Asda e gli altri del mucchio selvaggio): tra loro solo il Rochdale Canal, con le sue chiuse, garbato iconema dell'urbanizzazione ottocentesca, ora simbolo dell'heritage locale.
Una metafora della sottile linea d'acqua che separa investimento for profit da conservazione della Memoria: un merit good, bene culturale dell'Umanità.
La città, inventata dalla manifattura, si reinventa attraverso la distribuzione delle merci e di quella particolarissima merce che è la cultura. Un ciclo continuo, vivace e contraddittorio in cui le funzioni urbane, tutte - incluse le nuove manifatture, inclusa la residenza popolare - coabitano e si contaminano con una forza irresistibile. La sensazione, sotto sotto, è proprio questa: che esista questo qualcosa che chiamiamo città, che sia lei la forza irresistibile, come una grande bestia indomita: partners, comunità, promotori, investitori, cultura sono sue manifestazioni.
Per chiunque ami la città, la speranza è tangibile: she can work it out.


Long and winding road: premesse scritte alla fine

In questo "giornale di viaggio", come si è detto, si riportano soltanto alcuni appunti, in forma sintetica e non approfondita come richiederebbe maggiore rigore scientifico. Tuttavia l'impegno di ricerca che sarebbe necessario per dare documentazione e logica alle suggestioni, è notevole e nessuno ce lo paga.
Per altro, chi fosse interessato ad approfondire quanto annotato o a verificare se le mie riflessioni abbiano fondamento, può giovarsi di una letteratura cospicua sulla rigenerazione urbana e dei molti, ottimi, siti che le stesse municipalità (i Council) e le diverse partnership rendono disponibili.
Va, anzi, sottolineato che - come nel caso di Lyon oggetto del precedente viaggio AUDIS, 2005 - la comunicazione ha un ruolo decisivo nei processi di rinnovo delle città.
Per tutti, citiamo il caso di CHIPS, il brand con cui viene gestito uno dei maggiori interventi di real estate nella zona di Islington a Manchester: un vero "gioiello" di comunicazione multimediale e multi cliente (cfr anche: www.chipsforsale.co.uk e www.newislington.co.uk).

L'interesse, come la bellezza, sta negli occhi di chi guarda.
Il punto di vista e i filtri interpretativi sono necessariamente soggettivi: possono anche distorcere le valutazioni e i giudizi. Me ne scuso a priori e dichiaro subito i miei focus di interesse:

  1. la scala della rigenerazione urbana. Nel caso trattato di cui riferisco, siamo in presenza di una area metropolitana per eccellenza, una delle core urban areas europee che ricadono nella famosa blue banana, la macroregione dello sviluppo europeo (Midlands, London, Paris, Randstadt, Rurh, Bayern, triangolo industriale della Padania). Mutuando, immediatamente, la definizione che di sé stessa ha scelto Liverpool, diremo che la scala è quella di CITY REGION, una metropoli multipolare, che contiene la propria countryside, nodi con funzioni diverse dalla classica downtown, ai quartieri operai, ai seaside resort sulle dune, alle piattaforme logistiche, ai porti e aeroporti. Un sistema che non può non ricordare la nostra provincia. Benché progetti e interventi individuino e concretamente rigenerino siti ben definiti e distinti, di scala minore, tutti appartengono ad un'unica visione del futuro e ad una politica di marca della city region. È, per noi che viviamo in metropoli piccole-piccole, persino grottesco che la City Region del Merseyside, il sistema di Liverpool, abbia tra le proprie strategie "far crescere la massa critica nell'economia e nella popolazione": noi che per raggiungere la taglia della sola Liverpool (500 mila abitanti) dobbiamo mettere insieme Venezia con prima e seconda cintura, oppure Venezia con Padova. Forse è proprio quello che dobbiamo fare per parlare di "urbano".

  2. le partnership. È forse questo l'aspetto che più "scotta" sulla nostra pelle: la capacità quasi naturale di mettersi insieme, fare squadra o sistema (frasi logore ma che indicano passaggi ineludibili), mescolare interessi diversi spesso anche divergenti.

  3. il mix delle funzioni urbane. Alla base di tutti gli interventi, anche a scale diverse, c'è la radicata convinzione che solo una fully fledged city possa competere ed essere soddisfacente per la comunità insediata. Non si tratta del solo mix tradizionale - economie, servizi, abitazioni - ma di un mix innovato per esempio dalle funzioni del tempo libero e del turismo, una nuova edizione, se vogliamo, dei parchi urbani ottocenteschi, del cosmopolitismo delle capitali e del consumo di cultura (Scaramuzzi, 2005 in Indovina). Per ottenere questo mix si ha una visione che compone diversi siti, una scala adeguata, quella della city region: dove la connettività è garantita da un sistema veloce e sicuro di trasporti interni alla regione. Il mix, poi, è ricercato anche a livello linguistico, proprio in quella grain urbana che viene assunta come obiettivo della rigenerazione: nessuno scimiottamento dell'edilizia storica, dell'heritage legato alla rivoluzione industriale, ma interventi che portino il contemporaneo nei quartieri, un'edilizia che potrà anche risultare bruttina o dissonante ma che afferma la città di adesso, il suo rifarsi continuo.



    Manchester 2006 Deansgate la visione
    di un tessuto urbano a grana mista


  4. la world class come destinataria di molti degli interventi sia di tipo economico (es. i business park, gli scienze park) ma anche abitativo. Il concetto di popolazioni attratte è scontato: non a danno delle comunità autoctone ma come linfa vitale per la vita urbana. Si ricorda, spesso, che tutte le città inglesi devono molto al contributo degli immigrati, anche se Liverpool è nota per essere il porto di addio degli emigrati britannici, verso gli USA. In sostanza si riconosce come carattere distintivo della metropoli quella di "cambiare" spesso la popolazione, di essere un motore demografico sempre attivo: questo è l'assunto per politiche che attraggano nuovi cittadini, che garantiscano condizioni residenziali per trattenere i cittadini temporanei (es. gli studenti), che offrano condizioni "amene" per coloro che debbano scegliere un nuovo luogo per abitare o intraprendere

  5. I waterfront. Mai l'acqua ha avuto tanta attrattiva nelle città, proprio come elemento ameno per eccellenza: se Milano avesse il mare. Basta pensare al grande successo di Paris Plage. Quello dei waterfront è un tema noto, che ha almeno 30 anni di esperienze in tutto il mondo (a partire dal mitico Canary Wharf londinese). Però impressiona vedere, la domenica mattina, le persone che scendono dalla propria houseboat e si aprono le chiuse, lungo i canali di Castlefield, per andare a farsi un giro: da un lato le abitazioni, gli studi, gli uffici ricavati dai mills, dall'altra le varie sedi del Museo della Scienza e dell'Industria e sotto le arcate della ferrovia i locali notturni, in riposo: un mix di residenza, leisure, cultura, lavoro che l'acqua tiene insieme. Possiamo non pensare a Marghera e a tutta la gronda lagunare?



    Manchester 2006 - Canalside la zona vittoriana centrale rigenerata come cafè cluster
    Castlefield la cottonopolis manifatturiera trasformata in quartiere urbano misto


  6. L'abitare come funzione eccellente urbana. Derivato logico delle dinamiche demografiche, che la città produce e dalle quali è prodotta, la funzione abitativa ha un ruolo centrale, ineludibile, nelle politiche di rigenerazione. è impressionante che si costruiscano o sostituiscano migliaia di appartamenti: il rinnovo non è solo terziario, non è solo indirizzato a nuovi posti di lavoro o ad attrazione per cittadini intermittenti. Abbiamo già ricordato come faccia sorridere che sistemi urbani di milioni di abitanti, abbiano come obiettivo delle proprie politiche fare massa critica, nei confronti di una competizione globale. Ma l'attenzione alle residenze va oltre questa grandezza quantitativa: è una bandiera della rigenerazione ed evidentemente anche uno dei suoi fuochi economici: si deve rendere conveniente investire in abitazioni. Naturalmente dipende dalla peculiare struttura delle residenze "pubbliche" inglesi, dalla larga fetta di popolazione (spesso deprivata) che vive in affitto e per la quale la casa è una delle varie forme di "sussidio". Dipende dall'enorme patrimonio di social housing che è della tradizione inglese, segnatamente nel cuore della manifattura. Ma dipende anche dalla sicurezza che un ripopolamento delle aree centrali (dismesse o deprivate), una iniezione di nuove popolazioni e il mix di diverse componenti sociali e diverse tipologie residenziali sia una ricetta appropriata alla rigenerazione. L'uso dei cosiddetti brownfield è una priorità assoluta nelle politiche residenziali.

  7. real estate e sistema delle costruzioni sono due ambiti economici centrali. Lo si vede nelle statistiche, lo si vede con gli occhi: gru, cantieri, cartelli di grandi network dell'edilizia e della compravendita di immobili, tanti manovali al lavoro. Diretta conseguenza dei punti precedenti. Dobbiamo anche considerare che l'elevato patrimonio pubblico e il suo stato di degrado costituisce una delle aree di "grandi opere", che vengono usate come volano di una economia stagnante e con grandi problemi di riconversione. Il ciclo edilizio, sostenuto e pompato dai soggetti pubblici ma anche riconosciuto come area di paternariato con i grandi investitori privati.

  8. distribuzione commerciale e grandi distributori come promotori di città. Un altro ambito di paternariato, assolutamente cruciale, è quello con gli attori del retail, che nel Regno Unito sono dei colossi: grandi catene sia nel cosiddetto food (Tesco, Asda, Sainsbury) sia nel non food (Mark& Spencer, Debenhams, H&M, Selfridge…). Riconoscere che il commercio fa città non è difficile; riconoscere che gli inglesi sono un popolo di shopkeeper è doveroso, riconoscere che i retailers muovono capitali notevoli a scala globale è utile. Utilissimo farli investire nella madrepatria, nei cuori urbani, come motore di una rigenerazione che è interesse comune (anche se con finalità distinte) del commercio e del sociale.



    Birmingham 2006 - la Rotunda degli anni Sessanta rigenerata come marchio urbano
    Vista dall'interno del mall commerciale Bull Ring


  9. turismo come funzione urbana eccellente, integrata nelle economie e nella cultura. Chi scrive ha già scritto molto sulla funzione squisitamente urbana del sistema ospitale e dell'accoglienza turistica. Per fortuna le politiche urbane degli ultimi 30 anni, da Barcelona a Denver, anche oltre i "grandi eventi" (come le Olimpiadi e le Città Europee della Cultura). Il turismo viene iscritto tra i settori strategici dello sviluppo economico, e viene mescolato alle altre funzioni squisitamente urbane: Castlefield fa bene al cuore per chi viene da una città dove l'eccesso di domanda viene subito come una iattura, senza che nessuno voglia pensare ad una gestione diversa dal divieto all'accesso. Non se ne può più di sentire che Venezia è diversa e speciale, quando anche le opportunità "normali" vengono tenacemente eluse, per dirne una la parte contemporanea della città e della gronda.

  10. ruolo dell'educazione. Nel giornale dello scorso anno, su Lyon, ci eravamo piacevolmente stupiti dell'importanza decisiva attribuita dai francesi al ruolo urbano e metropolitano del sistema educativo. Chapeau. Sappiamo anche che la tradizione universitaria britannica è una bandiera, riconosciuta nel mondo: Oxford, Cambridge, la London School. Questa eccellenza viene fatta fruttare come uno dei plus a scala globale. Ma non è solo questo.
    È il ruolo della popolazione educativa - studenti e professori, tecnici - e delle loro attività urbane non curricolari, prima fra tutte la residenza ma non meno importante il loro tempo libero, sociale e culturale, preso come uno dei motori urbani: l'università fa città, secondo un filone teorico che viene sviluppato in Europa, per esempio da Paolo Russo (veneziano).
    È il ruolo della Università come partner della ricerca e innovazione e dello startup di imprese: altro mix che, da tempo, è posto alla base dei cosiddetti parchi scientifici, a cui vuole appartenere il nostro VEGA. Devo dire che il ruolo della Hallam University nel cuore di Sheffield, la prima cosa che si incontra, percorrendo la Golden Route, dalla nuova stazione ferroviaria, verso il City Council, è palpabile: meglio di dieci paper teorici. Così come la dislocazione regionale dei parchi scientifici lungo il Mersey, incuneati tra porti, aeroporti, seaside resort, quartieri quasi-in-campagna della città regione. All'educazione viene dato un ruolo cruciale nello sviluppo, non solo come fucina del cosiddetto capitale umano e, ovviamente, di quello culturale (Bridge. 2006), ma come fucina di città, nel senso materiale, concreto del termine. Un fattore di costruzione della città, persino quando sta quasi-in campagna, cioè nella città regione.

  11. il public realm, il reame pubblico. Lo spazio pubblico ha una parte eccellente nella rigenerazione urbana: non solo come insieme di parti aperte nel costruito - le piazze, le strade, i mitici street corner britannici (dove per definizione ci deve stare un luogo pubblico, il negozio o il pub), i path, le walkways e quant'altro - ma come percezione di una identità dei luoghi, specialmente dei quartieri residenziali (contro l'idea di un dormitorio).


Consultazione del lavoro

Estratto dal Documento COSES n. 749.0/06 "WE CAN WORK IT OUT - Rigenerazione urbana nelle città della rivoluzione industriale" di Isabella Scaramuzzi maggio 2006. Il documento è disponibile per il download in versione integrale download (formato PDF).


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