Chinoiserie

Se Venezia affonda
tutto il mondo piange e protesta.
Se Pechino scompare
nessuno ci fa caso.

Philippe Jonathan citato in Terzani, 1984.

I vicoli di Beijhng (hù-tòng) su cui
si affacciano le case a corte(sihèyuàn)

Promozione di un cantiere lungo
il secondo anello (windsor.com)

Cosa osserviamo

Tra gli argomenti modaioli in Italia, c'è sicuramente la Cina.
Difficile che un discorso, un articolo, un convegno - dall'economia del Nordest, al made in Italy, alla scuola, ai migranti, al cinema, allo shopping - non abbiano un riferimento al Paese di Mezzo.
Ed è già molto se non viene citato anche Marco Polo, attraverso il quale il Bel Paese, e la Serenissima specialmente, possono vantare primogeniture nella conoscenza e nelle relazioni con la Cina.
Assecondiamo questa moda, cercando di offrire qualche cineseria che potrebbe aiutare non solo ad onorare queste relazioni eccellenti (o sedicenti tali), conoscendo qualcosa della Cina e dei cinesi, ma a tenere d'occhio la globalizzazione, altra moda che non accenna ad indebolirsi.

 

Il drago cinese

Dal 1978 al 1997, il reddito interno totale è cresciuto annualmente del 17,3%, laddove gli investimenti in capitale fisso, le esportazioni e importazioni globali sono cresciuti ad un tasso annuo rispettivamente del 17%, del 23% e del 22,7%. Tali notevoli conseguimenti economici sono attribuiti ai massicci investimenti del Governo in infrastrutture. Le autostrade complessive erano più di 3.000 miglia nel 1996, rispetto alla assoluta assenza di 20 anni prima. La velocità delle ferrovie è quasi duplicata nel 1996, in seguito all'aumento della competizione di mercato. Il numero delle piccole città è cresciuto da 77 del 1990 a 142 nel 2000. Il prezzo medio della unità di suolo risulta essere di 2.560 RMB (renminbi, moneta del popolo o yuan): 3.770 RMB per usi commerciali e uffici; 5.100 RMB per usi misti; 2.390 RMB per usi residenziali e 290 RMB per uso industriale (10 RMB o yuan valgono circa 1/100 di euro).

(nostra traduzione da Ding, op. cit. 2004)


Abitare e lavorare: due funzioni, uno spazio?

Le prime chinoiserie ci arrivano dalle riviste internazionali, della biblioteca, che si occupano di sviluppo e di economia territoriale: segnatamente Urbanisme (F), Environment and Planning E&P (UK), Urban Studies (UK), Town Planning Review (UK).
E&P dedica un numero tematico alla mobilità residenziale e alla scelta della abitazione in China (vol. 36.1) esaminando i trend a Shanghai, Beijing, Chòngquìng e Jiangyin: città che rispettivamente contano 13.200.000, 9.500.000, 6.600.000 e solo 151.500 abitanti.
In una realtà di straordinaria transizione - alla cosiddetta economia di mercato - la mobilità delle famiglie cinesi verso la città è elevatissima e diventa molto interessante capire (attraverso indagini campionarie e metodologie statistiche) motivazioni e preferenze. La dimensione dei fenomeni è fuori scala, per noi, ma la loro natura non è lontana dalle grandi inurbazioni che hanno caratterizzato la fase di industrializzazione europea e il boom del dopoguerra in Italia. In questo senso saremmo noi a "poter insegnare qualcosa" ai cinesi su splendori e miserie delle metropoli industriali.
Viceversa, se guardiamo alle peculiarità della crescita cinese potremmo "imparare" noi qualcosa da loro. Ad esempio la significativa presenza del legame tra lavoro e abitazione, in speciali tipologie di housing - le work-unit e le housing-bureau - le quali rappresentavano, nel caso di Bejing, rispettivamente il 63% e il 15% dello stock abitativo (dato 1977); nel caso di Chongquing il 74% e il 15% (dato 1993); nel caso di Jiangyin solo il 27 e il 3% (dato1997). Jiangyin, oltre ad essere la città più piccola (di taglia minuscola per la Cina e vicina a quella di una nostra media cittadina) è anche quella dove il patrimonio residenziale state-owned pesa meno (il 47% contro l'82% di Beijing (purtroppo i dati riguardano anni diversi), anche se il dato della capitale risale ormai a 20 anni prima.
Verrebbe da dire che più vasta è la metropoli, più pesante diventa una formula dell'abitare praticamente sconosciuta da noi, l'intima mescolanza tra spazio di lavoro (work, bureau) e di vita. Probabilmente, anche nella capitale e nelle altre metropoli, negli ultimi vent'anni, le proporzioni si saranno riequilibrate, proprio in virtù di un intervento privato prima sconosciuto. È verosimile che oggi, a Beijing il patrimonio residenziale state-owned si sia ridotto e molte persone - le più abbienti - vivano in abitazioni e tipologie "occidentali".
In ogni caso, viene da domandarsi se la chinoiserie di mescolare casa e luogo di lavoro attecchirà in occidente, importato dai moltissimi cinesi che vi immigrano.
C'è qualcosa che richiama, in questo modello geograficamente così lontano, le visioni di un territorio omogeneo, senza gerarchie, senza centro-periferia e città-campagna, in virtù dell'home-working, reso possibile dall'ubiquità e dalla potenza delle connessioni virtuali? O al contrario potremmo avere la visione di un piccolo mondo antico, casa-bottega, che riporterà nelle nostre città alcune modalità smarrite, come i negozi d'angolo e gli artigiani diffusi?
Quello che i nostri quotidiani lamentano da qualche anno, sulla sostituzione di imprenditori nativi con le cineserie, è successo da almeno 20 anni in molte città europee, dove i presidi alimentari e altri servizi alla residenza (come lavanderie e takeaway o centri tele-fax-internet) restano diffusi e disponibili - a qualsiasi ora - grazie ai gestori extracomunitari.


Bottega di acconciatrice

Logistica negli u-tong di Beijng 2004

 

L'Italia degli
alunni cinesi

navilio attraccato

 

Il drago addomesticato

Il COSES, (Bragato e Canu documento 587/04 Progetto di Ricerca) sta avviando, per commessa della Provincia di Venezia, una Ricerca sulla presenza imprenditoriale cinese in provincia e sulle relazioni economiche (import-export) tra le due realtà:

Comunità cinesi sono presenti in Europa e anche in Italia già dagli inizi del secolo scorso. L'immigrazione dalla Cina si distingue in parte da quella proveniente da altri paesi e appare caratterizzata da forme meno visibili che hanno reso e mantenuto scarsa la sua conoscenza.
La forte crescita che l'ha contraddistinta negli anni più recenti, ha sollecitato studi sul fenomeno osservato dai più diversi punti di vista. Da più parti è emerso in primo luogo l'isolamento della comunità cinese rispetto alla popolazione locale determinato dalle forti differenze linguistiche e culturali oltre che dalla elevata mobilità dei cittadini cinesi sul territorio. Una minore stabilità rispetto ad immigrati di altre nazionalità senz'altro non facilita l'integrazione con i locali. In secondo luogo, uno degli elementi che contraddistingue le comunità cinesi presenti nel nostro paese risulta essere la forte capacità di inserirsi nel tessuto economico locale, in massima parte attraverso attività autonome, supportata ampiamente da una rete etnica molto stretta. Un deciso incremento nel numero di imprese si conta a partire dalla seconda metà degli anni novanta grazie all'entrata in vigore della legge n. 40 del 1998 che liberalizza lo svolgimento di lavoro autonomo da parte degli extracomunitari. Dal settore del commercio che - tra l'altro - si estende ormai a meno tipiche merceologie, l'imprenditoria cinese si rivolge sempre più anche ad altri settori. Dopo Lombardia e Toscana, il Veneto appare come meta preferita dell'imprenditoria cinese. In base ad una ricerca condotta dall'Unioncamere del Veneto i titolari cinesi sono in Veneto circa 1.400 alla fine del 2003, erano poco meno di 700 nel 2000. Secondo i dati più recenti, i cinesi risultano essere i più numerosi tra i titolari di impresa extracomunitari operanti a Venezia e pari a quasi il 14% del totale.

(estratto da doc.587/2004)

Dal fengshui cinese al paradiso occidentale

Tutti gli osservatori lamentano la totale distruzione della vecchia Beijing, sia durante il regime maoista sia in questi anni di transizione: la perdita della sua caratterizzazione autentica e l'omologazione drammatica a modelli occidentali, di urbanistica e di architettura.
I sopravvissuti hù-tòng della capitale, dove la commistione casa-bottega è ancora straordinariamente viva (e apparentemente autentica) e dove, secondo Lonely Planet, vivono ancora un quarto dei residenti a Beijing, sarebbero destinati ad ulteriore sparizione, per la pulizia olimpica (in vista del 2008). Il turismo, viceversa, potrebbe salvare gli hù-tòng, magari con eccessi "igienisti" (fino alla imbalsamazione), ma se non altro a tangibile memoria dello spazio che fu: le case su cortile, per dirne una, il siheyuan che univa quattro edifici attorno ad uno spazio privato, individualista ma condiviso e collante della famiglia e dei suoi ospiti. Dall'hù-tòng si accedeva al siheyuan, attraverso porte decorate a colori, segnali vistosi lungo il grigio uniforme di muri bassi e di tetti curvi: una soluzione insediativa intimamente cinese, che ha continuato ad essere impiegata anche dopo il 1949. Sia i vicoli che i cortili rispettavano le regole del fengshui, un insieme di prescrizioni geomantiche, legate al vento e all'acqua, che dovevano conciliare le costruzioni umane con la natura, alla ricerca dell'armonia.
C'è chi sostiene (Terzani in La porta Proibita) che monumenti e caratteri di Pechino erano ampiamente scomparsi prima di Deng Xiaoping e che la attuale modernizzazione completerà il disastro. Arrivai a Pechino e fui colpito di come quella straordinaria città mutilata una volta dalle pretese urbanistiche dei comunisti, veniva distrutta una seconda volta dalle irrispettose esigenze di una forma di modernità che cominciava ad essere importata dall'Occidente.
Comunque ci si rapporti con l'operazione maoista, dunque, sono le quattro modernizzazioni avviate da Deng e l'attuale gigantesco cantiere del terzo anello pechinese, a stravolgere senza pietà ciò che la capitale è stata, nei suoi trascorsi imperiali e dittatoriali: il rischio è che, arrivando in una metropoli cinese, ci sembrerà di essere a Francoforte o a Filadelfia.


La crescita di Beijing lungo il secondo anello
(vista dal China World Trade Center) 2004


Irace, giornalista di Ventiquattro Magazine (2004) sintetizza così: Shangai sprofonda ogni anno di otto centimetri sotto il peso dei nuovi grattacieli; Pudong […] dopo la visita di Deng nel 1992 […] ha la skyline irresistibile di una Manhattan d'Oriente […] molte voci critiche hanno sottolineato il pericolo di trasformare Beijing in una fiera delle vanità dell'architettura occidentale […] nella sistematica distruzione delle vecchie case del centro ad un piano, dei cortili e delle strette strade commerciali in favore di piccole Disneyland postmoderne o degli immancabili grattacieli.
Ma non basta il riferimento alle downtown o ai central business district CBD dei grattacieli perché, secondo la rivista Urbanisme (n. 337 luglio-agosto 2004), addirittura, il fenomeno divenuto recentemente di moda nel West -quello delle comunità cancellate, le gated communities - ha già pieno riscontro in Cina, per esempio nella città satellite di Yishuang, sempre a Beijing. Le città satelliti, attorno alla capitale, fuori dal terzo e quarto anello periferico, sono state sviluppate a partire dal 1958 (prima della transizione al mercato): la loro crescita però è divenuta irresistibile negli anni recenti, anche in prospettiva delle Olimpiadi 2008.
Yishuang, lungo il corridoio di sviluppo sud-est (verso Tianjin, la quarta città cinese) è destinata -secondo lo schema direttore metropolitano di Beijing- ad accogliere le installazioni industriali: attualmente ne conta 1.300 di oltre 30 Paesi stranieri, con 50.000 addetti.
In complesso, attorno al quinto anello di Beijing sono previste 14 città satellite.
Il sinologo Doulet spiega però che non si tratta di una assoluta novità, perché la Beijing di Mao già si presentava come una addizione di spazi autonomi, organizzati in unità residenziali, controllati dai comitati di quartiere e in villaggi-impresa sotto la responsabilità delle unità di lavoro. Esse erano già "cancellate" ovvero chiuse da un muro che fungeva da separazione fisica netta.
La novità di Yishuang e, al suo interno, della lottizzazione denominata Paradise Found (promotore una società mista Stato e Città di Beijing, terreno utilizzato una proprietà di caccia dell'Imperatore) è il livello delle classi agiate che vi si insedia, al fine di "evitare la solitudine della metropoli in cui non si parla col vicino". In una città-regione di 14 milioni di abitanti, con 2-3 milioni di persone che fluttuano quotidianamente dalle campagne circostanti -per animare i cantieri edili e le attività commerciali urbane- suona singolare il desiderio di "ricostruire la prossimità del vicinato". Ancora più curioso lo stile scelto per l'edilizia del Paradiso, quello Provenzale - colori ocra e bianco mediterraneo - contaminati da un tetto a cappello cinese. I fattori strategici individuati dal responsabile marketing del Paradiso (un taiwanese) sono occidentali: l'ecologismo (rappresentato dal riscaldamento a gas) e l'individualismo.


Globalizzare è glorioso

Diciamo che, in generale, le città cinesi stanno vivendo contemporaneamente due fasi che, per noi sono state separate e susseguenti: la modernizzazione - con le sue forme e stili di vita metropolitani - e la globalizzazione. In altre parole, le città cinesi si evolvono sotto la duplice pressione di una enorme immigrazione di lavoratori, dalle campagne (ciò che da noi è avvenuto nel dopoguerra) e di una fortissima immissione di capitali e know how stranieri (ciò che da noi avviene ora).
Caso straordinario e inequivoco di modernizzazione e globalizzazione è Shenzhen.
La letteratura no-global ha tuonato contro le zone economiche speciali, ma senza dircene la forma urbana: in Town Planning Review vol. 75.2 si analizza invece il rapporto della città di Shenzhen, passata da qualche 300.000 residenti nel 1979 agli oltre 7 milioni di oggi, con la pianificazione cinese. È un punto di vista molto interessante, proprio perché tiene insieme la complessità della globalizzazione e della modernizzazione, in un caso di città economica speciale, polo di attrazione degli investimenti stranieri, icona della transizione da uno sviluppo resources constrained ad uno demand-costrained, dal socialismo al capitalismo.
Il ritmo a cui questa città si è sviluppata è mozzafiato, la popolazione è oggi 14 volte quella del 1980, gli occupati 22 volte maggiori, il GPD (PIL) 724 volte, il capitale fisso 488 volte, il commercio con l'estero 3.919 volte, l'area pianificata dentro la città si è espansa da 10.65 kmq dentro la zona speciale (SEZ) fino a coprire l'intera municipalità di Shenzhen, pari a 2.020 kmq. Numeri mozzafiato.
I professori dell'Università di Hong Kong Ng e Tang, spiegano come, a partire da una SEZ promossa attraverso investimenti governativi e industrie di Stato SOEs - le quali hanno sagomato la zona lineare in mezzo ai villaggi rurali nativi - si è transitati verso una economia "privata", rispetti alla quale il master plan tradizionale della Cina post-riformista è diventato "ferrovecchio". In breve la pianificazione comprensiva (fortemente controllata dallo Stato centrale) si è rivelata del tutto insufficiente a governare uno sviluppo di tale portata e ritmo ma soprattutto l'entrata nella scena locale di "attori privati". Così, nel 1998, proprio a Shenzhen è stata introdotta la Urban Planning Ordinance che innova, per la specifica realtà locale, il City Planning Act del 1990 che aveva invece valore nazionale. I concetti fondanti sono la affidabilità finanziaria, la trasparenza, e la partecipazione dei cittadini. Non bastasse, lo stesso ruolo dei pianificatori, da sempre dei tecnici al servizio dello Stato e dell'economia, viene profondamente modificato dall'entrata in scena di nuovi attori economici e dalla transizione di Shenzhen verso una world-class city. Gli investimenti richiedono piani strategici?
Se pensiamo alla lunga crisi della nostra Urbanistica, ci viene da dire che davvero tutto il mondo è Paese: anche la riflessione sulle professioni e le discipline si sta globalizzando.



Fast food
Beijing 2004

Fruttivendola durante la pausa pranzo
Beijing 2004

E il turismo?

L'ultima chinoiserie è squisitamente turistica, essendo il turismo uno dei vettori di globalizzazione ante litteram, una economia dell'integrazione e dello scambio - in senso positivo - oppure dell'omologazione, della banalizzazione e della colonizzazione - in senso negativo.
Napoleone giustamente aveva consigliato di "lasciar dormire il gigante" cinese poiché svegliandosi avrebbe turbato i sonni dell'Europa e del Mondo: se ne intendeva di globalizzazioni, evidentemente e pare che anche oggi i francesi stiano mettendo in atto una tempestiva politica di "integrazione" con il possibile nemico.
Se non puoi batterlo, accordati con lui.
Nel 2003 il Centre Pompidou, faro espositivo dell'Esagono, dedicava una grande mostra al gigante risvegliato, titolo Alors, la Chine?



Manifesto della Mostra Alors, La Chine?
Centre Pompidou Paris 2003


L'anno dopo, nel 2004, proprio in rue Bonaparte, è aperta la Maison de la Chine, contigua al cluster delle griffes europee in Rive Gauche e ai monumenti del dehors parigino come Deux Magots e Brasserie Lipp. Nel cuore del cuore della Francia.
L'edificio ospita il Tour Operator di Stato, la Maison de la France, il quale commercializza viaggi di target medio o alto, secondo pacchetti tematici che potremmo definire etno-chic (fotografie rigorosamente in bianco e nero, proposte Chine Intime con dejeuner dans une famille e balade en cyvlopousse au coeur des hu-thong, hotel di lusso occidentale, escapade nel vicino oriente), rovesciando strategicamente quella che è la propria mission costitutiva: far venire gli stranieri in Francia.
Il dubbio che le due politiche non siano contraddittorie è forte.
Nello stesso edificio, parigini e foresti, trovano una grande sala da te in perfetto stile cinese (fedele e inautentica), un intero piano di concept store, dove la Cina viene proposta (a prezzi francesi, mediamente dieci volte il prezzo in RMB) attraverso alcuni prodotti tipici: seta, porcellana, te, stampe e, cela va sans dire, l'agenzia di viaggi.
L'operazione colpisce, per la cura, la tempestività e l'investimento, la collocazione (nei luoghi mitici della mitica capitale), gli strumenti messi in uso: cultura, esposizioni, intrattenimento, shopping, riuso di immobili urbani, trade turistico, ruolo di leadership delle istituzioni nazionali e metropolitane.
Qualche beninformato sostiene che l'effetto Deng, che ha studiato a Parigi, valga più di ogni strategia politica: la comunità cinese a Parigi, aggiunge, è particolarmente "ricca" rispetto a quelle "sciatte" che immigrano, per esempio, in Italia.
E si sa che le elites cinesi le quali, con bassissime percentuali sulla loro popolazione totale, raggiungono comunque il peso di interi Paesi europei (in termini di consumo), sono destinate a contare, nel breve periodo, enormemente sul mercato turistico internazionale.




Negozio e Bric-a-brac per turisti nella Liu Li Chan
Beijing 2004


Casa dei Carraresi di Treviso, gioca il proprio ruolo di maison de la Chine per l'area metropolitana veneta, mettendo in cantiere 6 anni di esposizioni dal 2005 al 2011 dedicate al Celeste Impero: La Nascita del Celeste Impero 2005; Il tesoro dei Mongoli nel 2007, Lo splendore dei Ming nel 2009 e Manciù l'ultimo impero nel 2011.
A noi pare che De Poli (il patron di Fondazione Cassa Marca), con la programmazione sulla Cina, confermi la propria lungimiranza di mecenate e la altrettanto solida conoscenza del proprio "mercato interno", pronto non solo ad investire in Cina (pardon, delocalizzare) ma anche a quelle importazioni implicite che si chiamano viaggi e turismo (solitamente si dice che un Paese-Destinazione di turismo fa esportazioni implicite, perché gli stranieri che lo visitano pagano con valuta straniera; qui il caso è rovesciato: sono i trevigiani che andando come turisti in Cina, acquistano beni stranieri).
Nella politica di Casa dei Carraresi c'è sicuramente l'obiettivo di "rispondere" alle domande culturali della città e della provincia: nel caso della Cina una richiesta, sostenuta dalla moda, di conoscenza e di mediazione rispetto al Gigante che non dorme più.
A Treviso è un mecenate (Cassa Marca), a Parigi è un attore istituzionale (Maison de la France) a svolgere una partita doppia: informare, avvicinare, affascinare, generare interessi e legami reciproci, accompagnare gli aspetti economici già effervescenti o incandescenti (economia industriale) con i molti altri aspetti di uno scambio tra popoli e civiltà.
La curiosità di viaggiare (economia turistica) ma anche la voglia di acquistare (economia commerciale), magari opere d'antiquariato o manifatture artigianali (economia dell'arte).
La nostra globalizzazione economica incontra quella cinese: ciascuno a suo modo.


Bibliografia

L'autrice ringrazia APT Venezia e Acrib Riviera del Brenta, senza le quali non avrebbe avuto modo di fotografare e vedere Beijing, con le sue contraddizioni, al volo ma dal vivo.

Isabella Scaramuzzi, Doc. COSES n. 597/04, novembre 2004.
Foto: Isabella Scaramuzzi 2004

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