Cura Metropolitana


Foto di Pierpaolo Favaretto



La metropoli veneta ha tentato di nascere per diverse vie: quella teorica e ideale degli studiosi, quella legislativa delle istituzioni, quella parziale ma fattiva delle utilities. Al CUOA (Centro Universitario di Organizzazione Aziendale) è riuscito, dopo trent'anni di tentativi, un rilancio misto: teorico, generazionale, imprenditoriale. Perché tutto questo impegno, ricorrente e su più fronti, non diventa efficace e la metropoli non nasce?
A Vicenza si è messo in campo qualcosa di psico-antropologico: la non consapevolezza. Quando si arriva a questo genere di diagnosi, credo si siano già tirati i remi in barca: ci manca la volontà, siamo una metropoli ma non vogliamo esserlo, non siamo convinti di presentarci e di agire come tale. Oppure, peggio ancora, crediamo che chi dovrebbe farlo sia incapace e tutto finisce nella solita geremiade contro i politici.
A Zelarino, intanto, il NOM Nuovo ospedale di Mestre si presenta come un intervento di sicura scala metropolitana; non sappiamo se sia davvero il più bello d'Europa, ma insomma si fa notare. E induce una riflessione sul possibile superamento di questa patologia psicotica dei metropolitani inconsapevoli.
La prima terapia, attivata dal NOM, è pensarsi come metropoli: in grande, come si dice volgarmente. Vi pare che questo sia un nosocomio per 300.000 persone? Come dire che il ponte di Calatrava serve i 5.498 ottuagenari di un isola. Zelarino e Mestre si debbono scrollare di dosso la loro non-esistenza, come città, devono rivendicare il ruolo regionale di polo, di nodo, di luogo per qualche eccellenza.
La seconda terapia, suggerita dal NOM, è costruire un ambiente urbano, vorrei dire un paesaggio che vada oltre la lussuosa retorica delle ville venete e il mito della campagna perduta. Costruire con qualità, con tecnologie, design e coraggio del segno; lasciare dei vuoti, non costruire con altrettanto progetto e obiettivo urbano. Soprattutto in quelle che sono state frange o terre di nessuno e in cui, appunto, nessuno vuole più abitare o lavorare.
Zelarino e Mestre, parte della metropoli, avranno una scusa in meno per essere inconsapevoli, avendo l'unico ospedale italiano servito da una ferrovia metropolitana, 200 metri dalla hall, ospitale come un giardino d'inverno. Zelarino, Mestre, Marghera, Tessera, via Torino: una costellazione di segni urbani, adeguati ad una metropoli. Qualcuno commentava: sembra d'essere in Europa.
Infine, la terapia del tempo che è denaro: i quattro anni di cantiere, straordinari nella storia degli ospedali italiani ma ancora più straordinari negli annali della Serenissima. E, se ci son dubbi sul project financing in ambito sanitario, che la Ministra Turco ha cercato di placare con una rivendicazione fortissima della sanità pubblica, universale e solidale, dobbiamo dire che il modo di fare quest'opera potrebbe fare del bene agli attori locali, applicato a molte altre opere che evochiamo e invochiamo, aspettando che appaiano. Parliamo spesso, con invidia mescolata a rassegnazione, dei paternariati metropolitani che hanno rinnovato Barcellona, Dublino, Glasgow, Valencia, Bilbao, Lyon, Manchester. Siamo consapevoli della capacità istituzionale ed operativa che molti soggetti hanno raggiunto facendo, come si dice, squadra e del ruolo che i partner pubblici hanno dovuto ridisegnarsi, per garantire finalità e benefici collettivi. Uno sforzo grandioso che probabilmente assomiglia al compito di rinnovare la politica e le amministrazioni. Forse la nostra sindrome è di non essere, oggi, capaci di questa impresa. E di avere consapevolezza, questa si, delle nostre remore verso strumenti nuovi, metodi che presentano rischi altrimenti non avrebbero opportunità, procedure che esigono un soggetto pubblico altamente capace di esercitare i controlli e di trattare col privato 'alla pari'. Non so se così sia stato per il NOM, ma sembra che, almeno, ci abbiamo provato.

Isabella Scaramuzzi, Ottobre 2007

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